Franz. G. Alexander, Sheldon T. Selesnick

Storia della Psichiatria

Newton Compton, Roma 1975
11. SIGMUND FREUD

 

Gli sviluppi del tardo Ottocento formarono lo sfondo per l'opera di una delle più importanti e influenti figure della storia della psichiatria, e invero di tutta la storia della cultura occidentale: Sigmund Freud. Il suo contributo alla comprensione della natura umana non può essere sopravvalutato. Fin dagli inizi della sua carriera Freud era giunto alla conclusione che, per curare le malattie mentali, bisogna comprenderne la natura e che, per comprendere un fenomeno, bisogna osservarlo sistematicamente. Questo portò al principio, d'importanza fondamentale, della psicoanalisi come valido metodo di indagine. Come risultato, Freud riuscì per la prima volta a spiegare il comportamento umano in termini psicologici e a dimostrare che, in circostanze adatte, questo comportamento può essere modificato. Egli determinò l'unificazione della terapia e della ricerca. I suoi princìpi segnarono la nascita della prima teoria globale della personalità basata sull'osservazione e non soltanto sulla speculazione.

Praticando la psicoanalisi, e facendosene promotore, Freud stabilì il fatto che la psicologia - lo studio della personalità - può avere le stesse caratteristiche cumulative e operative delle scienze naturali.

L'epoca in cui Freud cominciò il suo lavoro era dominata dalle scienze naturali. In nessun altro campo l'accento sulle spiegazioni materialistiche era posto con maggior enfasi che in quello della medicina. La psicologia faceva sforzi disperati per salvarsi dal discredito in cui cominciava a cadere la filosofia nel suo insieme. Nelle università, per la prima volta, vennero istituite delle cattedre di psicologia separate da quelle di filosofia. Seguendo la guida di Theodor Fechner, gli psicologi cominciavano a porre domande adatte a studi sperimentali. Funzioni isolate, come la vista, l'udito, il tatto, la memoria e l'apprendimento venivano studiate mediante esperimenti controllati, i risultati di alcuni dei quali potevano essere espressi in semplici equazioni matematiche. Malgrado i grandi meriti di tali studi, storicamente questa prima corrente sperimentale appare come una concessione. Essa significava che la psicologia, per emanciparsi dalla filosofia, abbandonava i grandi problemi: Cos'è l'uomo? Da dove viene e dove sta andando? Come può dominare il proprio destino mediante delle decisioni? Si studiavano le facoltà isolate dell'uomo, ma l'uomo stesso, come complesso sistema di forze motivazionali, come personalità individuale, non rientrava fra gli argomenti di cui si occupava la scienza. Il talento e le aspirazioni umane erano soltanto «epifenomeni» che non meritavano attenzione. Anche al giorno d'oggi alcuni psichiatri si aspettano che tutte le risposte vengano dalla conoscenza delle sinapsi nervose e della neurochimica, e pensano che alla fine persino la storia possa essere ridotta alle leggi della chimica e della fisica. Lo stesso Freud, come figlio della sua epoca, non riuscì a emanciparsi completamente da questa concezione e dichiarò che alla fine la psicologia sarebbe stata sostituita dalla chimica; ma rifiutò di aspettare che questa utopia si realizzasse, e affrontò invece i problemi centrali della personalità e dei suoi disturbi mediante metodi adeguati, quelli della psicologia. Il suo riconoscimento e la sua ricostruzione dei motivi inconsci, sui quali è fondato il suo sistema di terapia della malattia mentale, estesero sostanzialmente l'applicazione della causalità psicologica, e fornirono per la prima volta un metodo per influire sulla struttura della personalità umana.

Eppure la prematura introduzione in questo campo di pedanti intenti pseudoscientifici avrebbe paralizzato per decenni queste vigorose attività intellettuali. Ancor oggi i critici della psicoanalisi non sempre apprezzano i grandi meriti di questo periodo, che secondo il metro convenzionale si può chiamare non-scientifico. Applicare, per esempio, i metodi statistici in un campo in cui mancano i princìpi basilari dei fenomeni studiati è certamente meno scientifico che l'applicazione della più adeguata cosiddetta «osservazione naturalistica». Studiare il comportamento umano con i metodi della fisica, che sono adatti per lo studio della correlazione di due o di un numero molto limitato di variabili isolate, è un'impresa disperata. Comunque sia, queste prime ricerche, basate principalmente sull'intuizione e con tutta la loro vaghezza, produssero un insieme di concetti teorici le cui possibilità operative non sono ancor oggi adeguatamente riconosciute.

Precedentemente, il comportamento psicopatologico non era facilmente spiegabile mediante una psicologia basata sul senso comune perché il comportamento dei nevrotici e degli psicotici non segue la causalità psicologica come la conosciamo in base ai nostri processi mentali coscienti. Perché un uomo debba reagire a una promozione con una depressione o persino col suicidio non può essere spiegato dalle leggi della causalità psicologica che conosciamo soltanto in base all'esperienza soggettiva. Questa è la ragione per cui, fin dai tempi di Ippocrate, l'uomo ha cercato di spiegare queste manifestazioni fuori dal comune in base a cause fisiche o chimiche, come la bile nera - o al giorno d'oggi - la serotonina. Le stesse limitazioni valgono nel caso dei criminali psicopatici, le cui motivazioni appaiono irrazionali. Nessuno chiamerebbe uno psichiatra per spiegare l'atto d'un uomo affamato che ha ucciso per ottenere del cibo. Se però viene commesso un omicidio senza intelligibili motivi razionali o emotivi, un giudice non illuminato potrebbe pensare a un disturbo mentale, probabilmente di carattere ereditario.

La contraddizione di questo erroneo ragionamento sfugge all'attenzione, a meno che non si prendano sul serio processi mentali "inconsci".

Quali sono le circostanze storiche che predestinarono Freud a introdurre con successo l'approccio psicologico in psichiatria, dopo che i precedenti tentativi erano costantemente falliti? Abbiamo visto come gli psichiatri romantici avessero riconosciuto, soltanto mezzo secolo prima, che la malattia mentale dev'essere studiata e curata con metodi psicologici. Nel 1803, Reil aveva chiesto che la psicoterapia e la psicopatologia fossero riconosciute come parti integranti della medicina. Moreau de Tours aveva dichiarato che i sogni sono fatti della stessa sostanza dei sintomi psicotici e che la loro comprensione poteva servire da chiave per comprendere la psicosi. Carus aveva postulato l'onnipresente importanza dei processi inconsci sia per il comportamento normale che per quello anormale, e si era spinto fino a spiegare psicologicamente tutti i processi biologici. Herbart aveva addirittura usato esplicitamente il termine e il concetto di «rimozione». Eppure questo periodo orientato in senso psicologico era stato di breve durata. Abbiamo visto come gli stupendi progressi delle scienze naturali in generale, e la progressiva conoscenza del sistema nervoso centrale in particolare, durante la seconda metà del XIX secolo avessero offuscato questi interessi psicologici e gettato sospetto e generale discredito su qualunque cosa non rientrasse nella concezione materialistico-meccanicistica che era diventata sinonimo di scienza. Per quale ragione, allora, Freud ebbe successo laddove i suoi predecessori erano falliti?

Dalla prospettiva del presente, la risposta è semplice: Freud rese operativa l'applicazione della causalità psicologica. Ciò che Fech-ner compì in un campo più circoscritto - lo studio delle percezioni sensoriali - Freud compì nel campo dello studio della personalità, introducendo in esso l'osservazione metodica e una tecnica di ricerca che era adatta alla natura dei fenomeni da investigare. Freud sostituì alle speculazioni filosofiche generali lo studio concreto delle singole persone. Egli creò la scienza della psicobiografia, ricostruendo non solo la storia dei sintomi del paziente ma anche la storia della persona, che faceva luce sull'origine dei suoi sintomi mentali. Egli rese operativo ciò che altri prima di lui -fra i quali Pinel, più di un secolo prima - avevano postulato in vaghi termini generali: che la malattia mentale è il risultato delle esperienze di vita di una persona.

Come abbiamo detto, nel suo orientamento scientifico Freud era un vero rappresentante del suo tempo. Il suo background era quello delle scienze naturali, neurologia e istopatologia. L'istopatologia e la psicoanalisi possono apparire molto distanti l'una dall'altra e, superficialmente, non si può scoprire nessun terreno in comune fra di esse. La dissomiglianza riguarda però soltanto il loro oggetto. L'orientamento di base di Freud nell'accostarsi ai fenomeni psicologici era esattamente lo stesso di quello che aveva appreso nel laboratorio di ricerca: osservazione accurata e ragionamento rigoroso. Per questo Freud protestava energicamente quando lo chiamavano un filosofo. Il suo impegno più profondo era di affrontare scientificamente i problemi della personalità, vale a dire, osservare attentamente e minuziosamente e comunicare meticolosamente agli altri le sue scoperte.

Freud sapeva cosa sono le prove scientifiche. Insisteva affinché le sue scoperte non fossero poste in discussione sulla base di polemiche infondate o deduttive, ma ripetendo il suo metodo di osservazione e mettendo alla prova le sue conclusioni attraverso prove fattuali. Data la sua formazione culturale nel campo delle scienze naturali, era profondamente infastidito che alle sue formulazioni psicologiche non fosse riconosciuto questo fondamentale diritto di qualsiasi scienziato. Le sue scoperte erano respinte da critici emotivamente prevenuti e psicologicamente ignoranti. Invece di verificare oggettivamente le prove che egli accuratamente presentava sull'esistenza di processi inconsci, della sessualità infantile, e del complesso di Edipo, i suoi critici lo attaccavano con invettive personali, una prassi da lungo tempo considerata contraria all'etica scientifica. Accusato di essere non-scientifico, eclissava di gran lunga i suoi avversari in quanto a spirito scientifico.

Nei suoi scritti teorico-speculativi egli era tuttavia un filosofo. Era costretto ad esserlo, perché nel campo della ricerca sulla personalità non erano ancora stati elaborati i raffinati strumenti degli esperimenti controllati prevalenti nelle scienze fisiche e biologiche Egli diede però chiare prove che ciò che egli amava di più nel suo lavoro era la solida base osservativa e non la sovrastruttura filosofica. Riferendosi alle sue speculazioni sulla struttura dell'«apparato mentale», egli scriveva: «Concezioni come questa fanno parte di una sovrastruttura speculativa della psicoanalisi, ogni parte della quale può essere abbandonata o cambiata senza danno o rimpianto nel momento stesso in cui venga dimostrata la sua inadeguatezza. Ma ci sono ancora moltissime cose da descrivere che si trovano più vicine all'esperienza reale».

Freud possedeva qualcosa di più delle virtù puramente intellettuali necessarie per percorrere l'ardua strada del pioniere scientifico. Egli sostenne l'opposizione universale da solo, senza l'aiuto di colleghi, il che richiedeva un'eccezionale forza morale e una profonda convinzione nella vocazione storica. Nessuno riconobbe la straordinaria forza morale di Freud più chiaramente di uno dei suoi primi e più fedeli discepoli, Hanns Sachs, quando scriveva: «Invece che sull'insincerità, l'amabilità superficiale, e il desiderio di rendere plausibili i fatti spiacevoli, egli insisteva sulla spietata verità, il rigore della ricerca inflessibile, e il coraggio di 'disturbare il sonno del mondo...'. Egli rifiutava assolutamente di accettare qualsiasi affermazione in forza di un'autorità superiore. Non aveva nessuna indulgenza per coloro che facevano così per codardia o pigrizia intellettuale, o perché desideravano sistemare le cose con il minimo incomodo».2 Sachs vedeva in questa insistenza sulla sincerità l'origine dell'intrepido scetticismo di Freud, che è una qualità necessaria dei veri scienziati. «La sua ferma convinzione era che né l'aspirazione di arrivare alla verità assoluta, né la consapevolezza del valore relativo di tutto ciò che si può conoscere, dovevano interferire con il lavoro e lo zelo del vero scienziato. Ciò che importava era giungere il più vicino possibile alla verità, non fare nessuna concezione al pregiudizio, alla tradizione, all'autorità, o ai propri desideri e alle proprie debolezze. Non faceva nessuna differenza che i primi passi fossero trascurabili rispetto alla lunga via da percorrere. I risultati di ogni scienza restano aperti al dubbio in misura maggiore o minore, secondo il suo grado di sviluppo e i suoi metodi peculiari. Un [vero] scienziato - cioè, un pensatore indipendente — deve essere consapevole di queste limitazioni e, dopo un rigoroso e ripetuto esame, deve attenersi al proprio giudizio senza aspettare l'autorizzazione di una prova completa e assoluta. Uno dei detti favoriti di Freud era: 'Man muss ein Stück Unsicherheit ertragen können ' (Bisogna imparare a sopportare un po' d'incertezza»). Sachs vede nell'«indipendenza, il coraggio e la fierezza i tratti peculiari» del carattere di Freud.

Vi sono poche personalità storiche sulle quali si disponga di tanti dati biografici pertinenti. Freud si sottopose all'autoanalisi ed ebbe il coraggio di rendere pubblici molti particolari di questo eccezionale procedimento. Scrisse anche il frammento di un'autobiografia. La parte più preziosa della sua autoanalisi derivò dall'esame dei suoi sogni ed è contenuta nel suo capolavoro, L'interpretazione dei sogni (1900). Solo seconde per importanza sono le numerose lettere che scrisse a Wilhelm Fliess, un collega medico e confidente. Durante il periodo più importante della sua vita, Freud confidò a Fliess, in una maniera eccezionalmente libera e disinibita, non solo le proprie idee, ma anche le lotte interiori, le speranze e gli scoraggiamenti che accompagnarono i suoi inesorabili sforzi di creare una nuova teoria psicologica della personalità umana.

Ernest Jones, uno dei principali seguaci di Freud, ebbe a disposizione tutto questo materiale, oltre a ventitremila lettere familiari e quindicimila lettere d'amore scambiate tra Freud e la futura moglie, per scrivere la biografia di Freud. I tre volumi dell'opera di Jones costituiscono un documento senza precedenti, sia perché è l'unica biografia completa scritta da uno psicoanalista esperto in psicobiografia, sia per l'eccezionale ricchezza di dati biografici di cui poteva disporre l'autore.

Sfortunatamente, non si sa molto delle prime fasi della vita di Freud; la maggior parte dei dati biografici si riferiscono alla sua vita adulta. Per coloro che conobbero Freud solo quando era già un grande leader, fiducioso in se stesso e conscio della grandezza delle proprie realizzazioni, ciò che Jones riferisce sui suoi primi quattordici anni è un'autentica rivelazione. Nella storia di Jones vediamo un uomo continuamente tormentato dai dubbi sulle proprie capacità, che aveva uno straordinario bisogno di approvazione e di sostegni emotivi, con un profondo desiderio di trovare una forte figura paterna cui potersi affidare sia intellettualmente che moralmente. Freud attribuiva ai suoi mentori qualità illusorie. Nel caso dei primi tre — il fisiologo Briicke, Charcot, il grande neurologo, e l'eminente internista viennese Josef Breuer - la sua tendenza a costruire delle figure paterne si manifestò soltanto in una esagerazione. Le grandi qualità di Fliess, l'ultimo di questa serie di figure paterne, sono puramente fittizie, distorsioni create unicamente dal desiderio di Freud. È durante i dieci anni ài amicizia con Fliess che venne alla ribalta il lato più vulnerabile di Freud, che Jones chiama la sua nevrosi.

Jones attribuisce la maturazione di Freud, che ebbe luogo agli inizi del secolo, principalmente alla sua autoanalisi. Non c'è dubbio che questo fu un fattore importante. Vi sono però molti esempi di un genio creativo che sboccia dopo di aver «trovato se stesso» dedicandosi al compito per il quale le sue doti lo predestinavano. Dopo che Freud concepì le sue idee più originali e allo stesso tempo più fondamentali, che divennero la base della nuova scienza della psicoanalisi, egli ottenne un solido punto di cristallizzazione per il suo sviluppo interiore, e la storia della sua vita divenne intimamente connessa all'evoluzione delle sue idee e del suo lavoro.

Freud era nato nel 1856 nella cittadina industriale di Freiberg, nella provincia austriaca della Moravia. Suo padre, Jacob, era un mercante di lana, e poiché l'industria tessile, che era stata il sostegno economico di Freiberg, era in continuo declino, la famiglia viveva in condizioni di ristrettezza. Quando Sigmund aveva tre anni, la sua famiglia emigrò a Vienna. L'atmosfera sociale di Freiberg era tuttaltro che piacevole per la famiglia di Freud. Il nazionalismo ceco contro il dominio austriaco era in ascesa, e la minoranza ebraica di lingua tedesca era un facile bersaglio di sentimenti ostili. Il fattore sociale influì indirettamente sullo sviluppo emotivo di Freud poiché, come accade comunemente nelle minoranze oppresse, egli, il primogenito, divenne il centro delle speranze della famiglia di ascendere nella scala sociale.

Gli ideali della sua fanciullezza - Annibale e Masséna - furono in seguito sostituiti dalla fantasia politica più realistica di diventare un membro del gabinetto dei ministri. I suoi sogni a occhi aperti erano incoraggiati dalla madre, alla quale, durante la sua gravidanza, era stato predetto che il figlio sarebbe diventato un grande uomo. In seguito Freud generalizzò l'incidenza delle ambizioni materne sul suo sviluppo emotivo: «Un uomo che sia stato il favorito indiscusso della propria madre porterà per tutta la vita il senso del conquistatore, quella fiducia nel successo che spesso procura il successo reale».

La sua ambizione di diventare famoso rimase una forza potente anche da adulto. I suoi sogni di eroismo sono francamente rivelati nelle sue lettere a Fliess. In una di queste egli chiedeva semischer-zosamente a Fliess se pensava che sul luogo (in un ristorante) dove per la prima volta aveva compreso pienamente un sogno, potesse esser posta una lapide di marmo recante l'iscrizione: «Qui il segreto dei sogni fu rivelato al dr. Sigmund Freud il 24 luglio 1895».

L'eccessivo desiderio di fama di Freud era in larga misura una compensazione per un colpo ricevuto quando, a dodici anni, la sua fiducia e il suo rispetto per la forza e l'autorità del padre erano stati scossi. Un «Gentile» per la strada aveva strappato il berretto nuovo di pelliccia del padre e, gettandolo nel fango, gli aveva gridato: «Ebreo, scendi dal marciapiede». Al figlio che, indignato, gli chiedeva «E tu cosa hai fatto?», il padre rispose calmo: «Sono sceso nel rigagnolo e ho raccolto il berretto».5 Questa apatica rassegnazione e mancanza di coraggio disturbavano Sigmund; egli doveva affrontare il compito di diventare ciò che la sua famiglia si aspettava da lui senza una forte figura paterna, e ci vollero quarant'anni prima che Freud superasse il suo bisogno di sostituire questo distrutto ideale paterno. Alla fine superò questo desiderio passivo di un padre forte solo quando si fu realmente convinto del proprio valore intellettuale. Questo avvenne all'inarca fra gli ultimi anni dell'800 e l'inizio del secolo. Si può facilmente scoprire ne L'interpretazione dei sogni e in Dora:  Analisi di un caso di isteria la sua ferma fiducia nelle proprie idee e la sua consapevolezza della loro importanza storica. Da questo punto in a-vanti Freud visse per il proprio lavoro.

La voluminosa corrispondenza con Fliess è piena dei sogni ad occhi aperti di questi due individui combattenti una lotta solitaria, entrambi intenti a lasciare un segno sullo sviluppo della scienza. Tuttavia la differenza fra queste due persone non sarebbe potuta essere più grande. Freud era il rigoroso ricercatore, disciplinato da vent'anni di solido lavoro in neuropatologia, e un genio creativo pieno d'immaginazione; Fliess era un pedestre clinico, assorbito dalla bizzarra ed eccentrica idea della periodicità biologica, che a-veva soltanto un esile fondamento. La relazione fra questi due uomini tanto diversi, in cui un uomo potenzialmente grande cedeva la leadership al suo inferiore intellettuale e gli assegnava il ruolo di mentore e consigliere, può essere compresa soltanto con l'ausilio della psicologia del profondo. L'intensa amicizia con Fliess apparentemente si sviluppò in un periodo difficile, quando Freud a-veva bisogno di una forte figura paterna alla quale affidarsi. Era il periodo in cui Freud aveva già avuto la prima intuizione delle i-gnote profondità della personalità inconscia dell'uomo e avvertiva la sfida a esplorarle ulteriormente, a formulare le proprie idee e a comunicarle a un mondo che non era ancora preparato ad accettarle. Sarebbe un errore sopravvalutare il bisogno di dipendenza di Freud, che era di gran lunga superato dal suo coraggio, dalla sua tenacia, e dalla sua dedizione alla verità scientifica.

12. L'evoluzione scientifica di Freud

I contributi di Freud alla scienza furono di quattro tipi, con u-na notevole sovrapposizione cronologica fra i primi due: 1) i suoi contributi all'anatomia del sistema nervoso e alla neurologia, apportati fra il 1883 e il 1897; 2) i suoi studi sull'ipnotismo e sull'isteria, fatti fra il 1886 e il 1895; 3) la dimostrazione e lo studio dei fenomeni inconsci e l'elaborazione del metodo di trattamento psicoanalitico, di cui si occupò dal 1895 al 1920; 4) le ricerche sistematiche sulla personalità umana e sulla struttura della società, svolte fra il 1920 e il 1939. Per quanto riguarda l'oggetto e i metodi di ricerca, i primi lavori di Freud nel campo dell'anatomia e della neurologia si possono distinguere nettamente dal resto dei suoi tentativi scientifici. È però erroneo dividere l'evoluzione scientifica di Freud in due fasi completamente indipendenti, la prima dedicata alla neurologia e la seconda agli studi psicologici. Le collega uno sforzo prolungato, arduo, e in gran parte senza successo - uno sforzo che assorbì la maggior parte delle sue energie per molti anni — di formulare le sue prime scoperte psicologiche secondo i termini e i concetti della fisiologia del cervello. I suoi tentativi di collegare i suoi nuovi contributi nel campo della psicologia all'orientamento prevalentemente anatomico e fisiologico riflettono particolarmente l'influsso dei suoi maestri Briicke e Meynert, dai quali trasse la sua convinzione dell'importanza e della necessità della convalida sperimentale.

Gli studi del sistema nervoso

Le ragioni per le quali Freud scelse la carriera medica non sono chiare. Egli non fu mai attratto dalla professione e non divenne mai un medico convenzionale. Secondo Ernst Jones, Freud scelse la medicina come carriera per un processo di eliminazione. «Per un ebreo viennese la scelta poteva farsi tra l'industria, gli affari, la legge e la medicina. La prima era subito da scartarsi per un'intelligenza del tipo della sua ...». Delle due rimanenti, fu preferita la medicina, anche se «senza un grande entusiasmo». Come affermò in seguito, «Né allora [quando si dedicò alla medicina] né in seguito ho provato una particolare predilezione per la carriera di medico. Ero spinto piuttosto da una specie di curiosità, rivolta tuttavia più agli interessi umani che agli oggetti naturali».

La curiosità per la natura umana fu sempre fondamentale in lui, ed egli considerava un «trionfo della sua vita» l'aver trovato alla fine il modo di ritornare a questo interesse.

Freud attribuì a Ernst Brücke (1819-1892) di aver avuto il maggiore influsso sulla sua evoluzione intellettuale. Brücke, uno dei più importanti fisiologi del tardo Ottocento, era membro di un circolo di scienziati progressisti - un altro era Hermann von Helmholtz - che seguivano Johannes Müller. Come Müller, essi credevano che i princìpi della fisica e della chimica dovessero essere applicati allo studio degli organismi viventi, e negavano che qualche altra forza, come una misteriosa sostanza vitale, sia operante nella biologia. Freud assimilò completamente questo atteggiamento strettamente scientifico, e non se ne scostò mai per il resto della sua vita.

I  sei anni che Freud passò nel laboratorio di Brücke furono i suoi anni di apprendistato nella ricerca scientifica. Egli acquisì una completa conoscenza dei metodi dell'istologia, pubblicò alcuni notevoli articoli sulle cellule delle gonadi delle anguille e sul sistema nervoso di alcuni animali inferiori, ed elaborò alcune idee sulle cellule nervose e le loro connessioni interne. Il lavoro gli piaceva, ma non abbandonò completamente le sue inclinazioni filosofiche. Seguì coerentemente le lezioni di Franz Brentano (1838-1917), titolare della cattedra di filosofia all'università di Vienna, e tradusse un libro di John Stuart Mill.

Nel 1881 Freud ottenne la laurea in medicina, e per un certo periodo continuò i suoi studi di laboratorio nell'istituto di Brùcke, preparandosi per una carriera accademica. Giunse però a rendersi conto che la carriera accademica era incompatibile con la necessità di guadagnarsi da vivere e, seguendo il consiglio di Brùcke, progettò di entrare nella libera professione come neurologo, malgrado la sua mancanza d'interesse per la cura dei malati. Dopo aver lavorato come assistente di Hermann Nothnagel (1841-1905), un famoso professore di medicina interna, fu nominato Sekundàrarzt nell'Istituto Psichiatrico di Meynert, dove apprese le prime nozioni di psichiatria clinica. Nel 1885 fece domanda per il titolo di Privatdozent in neuropatologia e, su raccomandazione di Brücke, Meynert e Nothnagel, fu nominato a questo posto. La strada verso una brillante carriera nella professione medica gli era ora aperta.

Nel 1884 Freud fece degli esperimenti sull'azione anestetica della cocaina e pubblicò una relazione preliminare sui suoi effetti. Sperava che questa scoperta gli avrebbe dato la notorietà, lo avrebbe aiutato nella professione, e gli avrebbe consentito di sposarsi prima di quanto non avesse altrimenti previsto; una visita alla sua fidanzata interruppe però il suo lavoro, e mentre era con lei, un altro medico, Karl Koller (1857-1944), dimostrò decisivamente l'utilità della cocaina in oftalmologia. Freud continuò a studiare i possibili effetti antidepressivi della cocaina, ma questo si rivelò un vicolo cieco, il che fu una fortuna perché un successo in questo campo avrebbe potuto distoglierlo dal proseguire sulla strada che lo portò alle sue scoperte psicologiche.

Mentre era all'Istituto di Meynert, Freud acquisì una conoscenza della neuropatologia e apprese anche delle concezioni psicologiche dinamiche di Herbart, che avevano influenzato Griesinger. Herbart aveva riconosciuto l'esistenza di processi mentali inconsci e aveva concepito il pensiero cosciente come l'emergere di idee in competizione fra di loro per ottenere l'attenzione. Secondo Herbart, alcune idee potevano scacciarne altre dalla coscienza, e queste potevano influire sull'umore e sul comportamento.

La prima pubblicazione di Freud sulla neuroanatomia riguardava le radici delle connessioni neurali del nervo acustico (1885). Pubblicò poi uno studio pionieristico sui nervi sensori e il cervelletto (1886) e proseguì con un altro articolo sul nervo acustico (1886). Due suoi contributi alla neurologia clinica furono importanti. Uno, un libro sulla paralisi cerebrale infantile, è ancor oggi considerato un lavoro importante sull'argomento; l'altro, un libro sull'afasia (1891), è meno noto ma più importante da un punto di vista teoretico.

Gli studi sull'ipnotismo e sull'isteria

Il lavoro di Freud nel campo della neurologia si sovrappone al suo primo lavoro psicopatologico sull'isteria e l'ipnotismo. Il suo interesse per gli aspetti psicologici della medicina cominciò nel 1886, quando andò per la prima volta a Parigi con una borsa di studio. La ragione per cui fece questo viaggio era che aveva trovato di scarso valore per i suoi pazienti, la maggior parte dei quali erano nevrotici, i metodi di cura allora prevalenti, particolarmente l'elettroterapia di Erb, in cui i pazienti erano sottoposti a deboli correnti galvaniche. Per imparare di più sulla loro malattia, Freud decise di andare a Parigi per studiare con Charcot, la cui fama era al suo zenith. La scelta di rivolgersi a Charcot era del tutto naturale. Freud trasferì subito il suo desiderio di un padre onnisciente da Brücke e Meynert a Charcot, la cui personalità lo affascinava. Ciò che più impressionava Freud in Charcot era il suo coraggio di contraddire la teoria psichiatrica comunemente accettata. Per esempio, Charcot prendeva sul serio come reali i sintomi isterici, nonostante la pratica corrente del suo tempo, che li considerava come puramente immaginari. Egli osservò e registrò accuratamente i sintomi isterici e accettò il fatto che anche gli uomini soffrivano di isteria, il che andava contro alla convinzione tradizionale che questa malattia fosse esclusivamente femminile. Cosa ancora più importante, Charcot riuscì, servendosi della trance ipnotica, a produrre in alcune delle sue pazienti isteriche esattamente lo stesso tipo di sintomi che esse avevano manifestato nel corso della loro malattia; e sebbene sostenesse che l'isteria era causata da una debolezza costituzionale del sistema nervoso, dimostrò che i sintomi isterici di paralisi, tremori e anestesie potevano essere provocati ed eliminati con tecniche psicologiche. Questo lavoro riaffermava la teoria psicogena dell'isteria che Sydenham aveva proposto duecento anni prima.

Al tempo del suo ritorno da Vienna, Freud era diventato un militante sostenitore delle idee di Charcot sull'ipnosi e il suo rapporto con l'isteria. Un collega più anziano, Josef Breuer, lo ascoltava con simpatia; con questa sola eccezione, le relazioni di Freud alla società medica di Vienna sulla sua esperienza parigina furono accolte con tiepido interesse e un grande scetticismo sulla validità della descrizione charcotiana dell'isteria. Meynert era contrario all'ipnosi, e l'articolo di Freud sull'isteria maschile non destò un particolare interesse fra i medici. Freud reagì a questa fredda accoglienza ritirandosi sempre di più dalla comunità medica. I suoi rapporti con Meynert, prima intimi ed amichevoli, si deteriorarono rapidamente e Freud fu subito escluso dal laboratorio di anatomia del cervello. Il crescente antagonismo fra Meynert e Freud ebbe anche aspetti di carattere non puramente scientifico. Meynert si risentì del fatto che Freud avesse trasferito la propria fedeltà da lui a Charcot e, secondo Jones, probabilmente era anche geloso della superiorità di Freud nel campo dell'anatomia del cervello. L'aperta critica di Freud, nel suo libro sull'afasia, della teoria di Meynert sulla relazione fra la corteccia cerebrale e le varie parti del corpo non contribuì certo a migliorare questo antagonismo, che alla fine sfociò in una aperta ostilità. Dopo il suo ritorno da Parigi, l'aspetto combattivo del carattere di Freud cominciava ad affermarsi. E-gli difese vigorosamente le proprie idee e attaccò senza infingimenti i suoi critici. E tuttavia aveva ancora bisogno di un «padre buono» da cui dipendere, e alla fine trovò questa figura nella persona di Josef Breuer.

Breuer assunse una grande importanza nella vita di Freud. Egli era un professionista di successo e lo aveva ripetutamente aiutato finanziariamente durante gli anni in cui Freud stava lottando per farsi una carriera; il maggiore contributo di Breuer non fu però né il sostegno emotivo né quello finanziario, ma un'osservazione clinica di cui aveva parlato a Freud quattro anni prima del viaggio a Parigi. Nel 1880 Breuer aveva avuto in cura una ragazza, Anna O., che presentava classici sintomi isterici: paralisi degli arti, anestesie e disturbi della vista e del linguaggio. Questi sintomi erano originariamente apparsi quando la ragazza aveva assistito il padre gravemente ammalato. Breuer aveva osservato che una volta, mentre la ragazza era in stato ipnotico autoindotto, aveva raccontato in modo molto dettagliato le circostanze in cui si era sviluppato uno dei suoi sintomi. Al che Breuer cominciò a curarla sistematicamente con l'ipnosi e ad incoraggiarla, in queste trances, a parlare delle esperienze che coincidevano con i suoi sintomi, una tecnica che la paziente chiamò «cura con le parole». Le esperienze che ricordava sotto l'ipnosi erano accompagnate dalla violenta espressione delle emozioni che aveva provato durante l'esperienza originaria, ma che a quel tempo non era riuscita ad esprimere; dopo queste violente espressioni di emozioni (abreazioni), i suoi sintomi scomparivano. Sotto l'ipnosi, poteva essere ricondotta alle circostanze che avevano provocato i suoi sintomi. Essa aveva rimosso gli importanti eventi - in questo caso, forti sentimenti di risentimento verso il padre per essere ammalato, sentimenti per i quali provava un forte senso di colpa — che l'ipnosi portava alla luce. Breuer però si spaventò quando si verificò il fenomeno del transfert - la paziente si innamorò di lui — e abbandonò il caso. Anna O. (lo pseudonimo usato da Breuer e Freud quando scrissero del suo caso) può quindi essere giustamente considerata l'involontaria inventrice della tecnica terapeutica che Breuer chiamò catarsi.

Il caso di Anna O. rimase un episodio isolato nella professione di Breuer, e senza la sua associazione con Freud può darsi che e-gli non gli avrebbe mai dato un seguito. Né Freud, quando udì per la prima volta di questo caso nel 1882, si rese conto della sua importanza, poiché a quel tempo il suo interesse era rivolto alla spiegazione dei fenomeni isterici su una base organica. Dopo aver visto gli esperimenti di Charcot con l'ipnosi a Parigi, però, Freud si ricordò della storia di Breuer e cercò di destare l'interesse di Charcot per questo caso, ma con il più completo insuccesso.

Dal 1886 al 1888 Freud e Breuer continuarono il loro lavoro sull'ipnosi catartica, ma scoprirono che alcuni pazienti non potevano venire ipnotizzati e altri non erano liberati permanentemente dai loro sintomi. Credendo che la loro tecnica ipnotica dovesse essere perfezionata, nel 1889 Freud andò a Nancy, dove l'ipnosi veniva usata in esperimenti terapeutici. Ambrose-August Liébeault, cercando di guarire senza spesa i poveri, li ipnotizzava. Sempre a Nancy, Hyppolyte-Marie Bernheim faceva esperimenti con la suggestione post-ipnotica, nei quali ai soggetti ipnotizzati venivano dati degli ordini che dovevano eseguire dopo il risveglio. Dopo aver assistito a questi studi, Freud rimase fortemente impressionato dalla potenza delle motivazioni psicologiche non coscienti, e si rese conto che la base psicologica dell'ipnosi era la suggestione.

Dopo il suo secondo viaggio in Francia, Freud tradusse alcuni scritti di Charcot e di Bernheim, e il suo interesse si rivolse sempre più ai fenomeni psicologici. Ritornò al suo lavoro con Breuer sull'ipnosi catartica, e nella sua mente prese forma il significato della dinamica inconscia e della rimozione delle idee inaccettabili. Nel 1895 Breuer e Freud pubblicarono gli Studi sull'isteria, in cui formularono l'idea che gli isterici soffrono per il ricordo rimosso di sconvolgenti eventi «traumatici», eventi che erano tanto stressanti che le emozioni che essi suscitavano non potevano essere affrontate al tempo in cui quegli eventi si erano verificati. Essi sostennero che il segreto di guarire i sintomi isterici era di dare libera espressione a queste emozioni bloccate, represse.

Il bisogno di Freud di trovare un collaboratore e una guida intellettuale è sorprendente nei suoi continui tentativi di spingere Breuer in primo piano. Gli attribuì la scoperta della psicoanalisi, sebbene di fatto avesse dovuto fare un grande sforzo per ridestare l'interesse di Breuer per l'ipnosi e i fenomeni isterici. Alla fine vi riuscì, ma Breuer, posto di fronti ai duri fatti del coinvolgimento emotivo del paziente col suo medico {transfert), dimostrò di non avere il coraggio morale di accettarne le conseguenze e di continuare questo fastidioso fenomeno. A differenza di Breuer, Freud continuò le ricerche esaminando il significato dell'«amore» del paziente per il medico da un punto di vista oggettivo. Con la comprensione del transfert, la psicoanalisi si affermò come metodo terapeutico.

I fondamenti della psicoanalisi

Freud si rese subito conto che, nonostante la sua utilità, l'ipnosi aveva dei limiti terapeutici. Da una parte, non tutti possono essere ipnotizzati. D'altra parte, Freud scoprì che i risultati terapeutici ottenuti mediante l'ipnosi erano spesso transitori; un sintomo poteva scomparire solo per essere sostituito da altri sintomi. La ragione per cui questo avviene è che, nell'ipnosi, il soggetto rinuncia temporaneamente alle sue normali funzioni dell'Io, in particolare al suo giudizio critico, e si affida completamente all'ipnotista. È perciò in grado di ricordare eventi penosi di cui il suo Io ordinariamente impedirebbe il ricordo; ma il materiale inconscio che in tal modo viene ricordato non diventa parte della sua personalità cosciente e, destandosi, il soggetto è usualmente inconsapevole di ciò che è accaduto durante lo stato ipnotico. Nell'ipnosi, perciò, il ricordare non elimina le cause che hanno fatto dimenticare: la resistenza della personalità cosciente ad affrontare il materiale rimosso insopportabile. Perciò la scarica delle emozioni rimosse sotto l'ipnosi - in termini tecnici, Yabreazione - non dà come risultato una guarigione permanente, ma offre soltanto un sollievo temporaneo dalla tensione accumulata.

In un primo momento Freud non se ne rese conto. Per motivi difficili da ricostruire, cominciò a fare esperimenti con altri metodi psicoterapeutici, spinto da quella che egli chiamava «un'oscura intuizione». Solo più tardi si rese conto di quello che noi ora sappiamo sui limiti dell'ipnosi. Una volta compresi questi limiti, Freud vide che il logico passo successivo era di cercare di superare, non di aggirare mediante l'ipnosi, la resistenza della personalità cosciente nei confronti del materiale rimosso; cioè, che doveva tentare di indurre i suoi pazienti ad affrontare coscientemente questo materiale inaccettabile. Ma come poteva far sì che i pazienti ricordassero nello stato di coscienza queste penose esperienze dimenticate del passato? In base alla teoria di Bernheim che la suggestione è l'essenza dell'ipnosi, Freud tentò dapprima di usare la suggestione sui suoi pazienti, incitandoli, mentre erano pienamente coscienti, a ricordare gli eventi traumatici connessi con i loro sintomi. Dopo un breve periodo di esperimenti infruttuosi con varie tecniche, nel 1895 Freud scoprì il metodo della libera associazione.

La nuova tecnica di Freud consisteva nel chiedere ai suoi pazienti di abbandonare il controllo cosciente sulle loro idee e di dire qualunque cosa veniva loro in mente. La libera associazione sfrutta la tendenza a tradirsi del materiale inconscio, che cerca un'espressione ma è inibito da forze opposte tendenti alla rimozione. Quando un paziente abbandona la direzione dei propri processi ideativi, le sue associazioni spontanee sono guidate più dal materiale rimosso che da motivi coscienti; l'incontrollata catena di i-dee rivela così una interazione fra due opposte tendenze: una a esprimere, l'altra a rimuovere il materiale inconscio. Freud scoprì che la libera associazione, estesa su un periodo di tempo sufficientemente lungo, avrebbe ricondotto il paziente a eventi dimenticati, che egli non solo ricordava ma anche riviveva emotivamente. L'a-breazione emotiva nella libera associazione è sostanzialmente simile alla scarica emotiva provata durante l'ipnosi, ma non è così improvvisa o esplosiva; e poiché queste abreazioni frammentarie si verificano quando il paziente è pienamente cosciente, l'Io cosciente è in grado di far fronte alle emozioni «elaborando» gradualmente i conflitti soggiacenti. Questo era il procedimento che Freud chiamò «psicoanalisi», un termine che usò per la prima volta nel 1896.

Durante la libera associazione, il materiale inconscio non appare direttamente; esso influisce invece sulla catena di idee cosciente in un modo che può non essere sempre evidente. Ascoltando il libero flusso di associazioni apparentemente casuali, Freud imparò a leggere tra le righe, e giunse gradualmente a comprendere i significati dei simboli mediante i quali i suoi pazienti esprimevano questo materiale nascosto. Egli chiamò la traduzione del linguaggio dei processi inconsci nel linguaggio quotidiano «arte dell'interpretazione», un'arte che fu pienamente realizzata solo dopo che Freud scoprì l'importanza dei sogni.

Freud cominciò a interessarsi dei sogni quando notò che molti pazienti, durante le loro libere associazioni, cominciavano a parlare spontaneamente dei loro sogni. Perciò chiese loro di riferire quali idee avevano in relazione con gli elementi del contenuto dei sogni. Egli notò che queste associazioni rivelavano spesso il significato nascosto dei sogni. Tentò allora, utilizzando queste associazioni in base al loro contenuto manifesto, di ricostruire il significato nascosto del sogno - il suo contenuto latente - e nel far questo scoprì il particolare linguaggio dei processi ideativi inconsci. Freud pubblicò le sue scoperte ne L'interpretazione dei sogni (1900); questo libro è indubbiamente il suo più importante contributo.

Il nocciolo della teoria freudiana dei sogni è che i sogni sono tentativi di scaricare le tensioni emotive che interferiscono con lo stato di completo riposo, cioè il sonno. Queste tensioni nascono da bisogni e desideri che sono stati frustrati durante il giorno, e il sognatore se ne libera visualizazndo il loro appagamento in una gratiticazione allucinatoria. Gli esempi più evidenti di questo processo sono i semplici sogni di appagamento di desiderio dei bambini piccoli, che nei loro sogni esprimono come appagati i desideri rimasti insoddisfatti durante il giorno precedente. Negli adulti, il processo di ottenere gratificazione mediante i sogni è più complesso. Negli adulti, moltissimi desideri sono frustrati non da ostacoli esterni, come lo sono generalmente i desideri dei bambini, ma da conflitti interni. Questi conflitti interni sono spesso il risultato di aver respinto, durante la maturazione, molti desideri che gli atteggiamenti dei genitori rendono inaccettabili o «egodistonici» («ego-alien)». Nei loro sogni, gli adulti esprimono i desideri egodistonici in forme distorte. Queste deformazioni sono difese contro il conflitto interno che sorgerebbe se le tendenze egodistoniche apparissero apertamente. I sogni degli adulti sono quindi formazioni di compromesso; essi appagano i desideri egodistonici, ma nel linguaggio cammuffato e simbolico, infantile, dei processi inconsci: cioè, in termini non più comprensibili all'adulto. In questo modo viene evitato il conflitto interno e il sogno adempie la sua funzione di proteggere il sonno.

Lo studio dei sogni fornì la chiave necessaria per comprendere i fenomeni psicopatologici. La tecnica freudiana della libera associazione e dell'interpretazione aprì un facile accesso all'inconscio e fornì un modo per comprendere i fenomeni psicopatologici, poiché questi fenomeni, come i sogni, sono il prodotto di desideri inconsci egodistonici. Freud si rese conto che i sintomi psicopatologici e i sogni sono il prodotto di modi di pensare primitivi - Freud li chiamò «processi primari» - che non tengono nessun conto delle abituali restrizioni imposte dal mondo fisico e dall'ambiente sociale. È nella natura dell'inconscio ignorare limitazioni di tempo e di spazio; l'inconscio è di natura non razionale ma emotiva; le sue espressioni non sono parole ma immagini pittoriche.

Lo studio dei sogni da parte di Freud rivelò una quantità di differenti idee, le quali hanno tutte un comune denominatore emotivo, in un unico simbolo. Per esempio, il sognatore può sognare una faccia con le sopracciglia del padre, il naso di un insegnante, la bocca di un fratello e gli orecchi della moglie, eppure a un primo esame la faccia composita non somiglia a nessuna di queste persone. Se, nel sogno, la persona con questa faccia viene uccisa, la morte può sembrare innocua, eppure, inconsciamente, gli individui rappresentati sono in realtà persone nei confronti delle quali chi sogna nutre rancori e che vengono punite.

Un altro di questi meccanismi era lo «spostamento». In un sogno, il paziente può spostare l'odio, la collera o l'amore da una persona a un'altra persona che può odiare o amare senza conflitto interno. In un sogno di questo tipo il sognatore potrebbe spostare il proprio desiderio di fare l'amore con la madre a un'altra donna, che rappresenterebbe in realtà la madre indossando scarpe simili a quelle indossate dalla madre.

Sotto le penetranti analisi di Freud vennero alla luce moltissimi altri tratti distintivi dei processi inconsci. Tra questi c'era l'uso dell'allegoria, del simbolismo, dell'allusione, della «pars prò tota» (il riferirsi a una parte di un oggetto o di una persona, ma intendendo in realtà riferirsi all'intero), e quello di «esprimere qualcosa mediante il suo opposto». «Esprimere qualcosa mediante il suo opposto» significa negare un desiderio, che di fatto si ha, perché questo desiderio è in qualche modo indesiderabile. Per esempio, un sognatore che nutre una ostilità inconscia per il fratello può desiderare di vincere il fratello nella competizione per un posto di lavoro. La ripugnanza per il desiderio ostile lo porta a sognare di cedere il posto al fratello. L'obiettivo di tutti questi meccanismi onirici è di mascherare il desiderio inconscio inaccettabile.

La conoscenza dei processi inconsci chiarì molte attività oscure della mente umana. Durante il primo decennio del secolo, Freud fu molto occupato a dimostrare l'esistenza dello «inconscio dinamico», quale si manifesta nei lapsus linguae, nei motti di spirito e nelle amnesie. Nel suo brillante lavoro Psicopatologia della vita quotidiana* dimostrò che i lapsus apparentemente casuali, le amnesie apparentemente immotivate, e le altre paraprassie, sono il risultato di intenzioni rimosse.

Via via che la sua abilità ad analizzare i sogni dei pazienti aumentava, Freud diventava sempre più consapevole che gli impulsi sessuali avevano un ruolo importante nella nevrosi. Scoprì che il materiale egodistonico che era stato eliminato dalla coscienza, e che conseguentemente era espresso nei sogni e in sintomi nevrotici aveva costantemente connotazioni sessuali. Freud era instancabile, ma una volta che le sue osservazioni lo ebbero costretto a trarre questa conclusione, rifiutò coraggiosamente e arditamente di ignorare le implicazioni delle scoperte. La propria autoanalisi, particolarmente l'analisi dei propri sogni, gli fornì la prima intuizione sul complesso di Edipo: il desiderio del bambino di una relazione sessuale con il genitore di sesso opposto e il suo senso di rivalità nei confronti del genitore dello stesso sesso. Le sue conclusioni, suffragate dalle sue osservazioni dei pazienti, furono pubblicate nei Tre saggi sulla teoria della sessualità (1905). Le sue concettualizzazioni sulla natura sessuale dell'uomo diventarono note come la «teoria della libido» che, assieme alla sua scoperta della sessualità infantile, fu la causa principale del rigetto di Freud da parte dei colleghi medici e del pubblico.

La teoria della libido corresse le idee convenzionali sull'istinto sessuale, che era considerato un istinto di riproduzione. Freud concluse che vi sono molti aspetti del comportamento infantile che sono fonti di sensazioni sessualmente (sensualmente) piacevoli, per esempio il succhiarsi il pollice e la defecazione, che non hanno nessun rapporto con la riproduzione. Di fatto, questa conclusione estendeva le implicazioni della sessualità al di là del concetto di riproduzione. La teoria freudiana della libido sostituì questa precedente definizione ristretta della sessualità con una teoria globale dello sviluppo della personalità, nella quale lo sviluppo biologico (incluso quello sessuale) e quello psicologico sono correlati. Si ritiene che l'infante sia in una «fase orale», ancora totalmente dipendente dalla madre per il piacere che prova nella propria bocca, e in uno stato biologico caratterizzato dalla rapida crescita. La sua psicologia è dominata dal bisogno di incorporare cibo, ed egli manifesta una dipendenza ricettiva; quando è frustrato, diventa esigente e aggressivo. Il periodo orale è seguito dalla «fase anale», durante la quale il bambino impara per la prima volta a controllare le sue funzioni corporee. Questa fase inizia a circa diciotto mesi. L'educazione alla pulizia e il controllo degli sfinteri interferisce con il piacere anale derivante dalla ritenzione e l'espulsione delle feci, e la psicologia del bambino è dominata dall'aggressività, la gelosia, l'ostinazione, la tendenza alla ritenzione, e la possessività. Egli acquisisce delle difese - come il disgusto e l'amore per la pulizia — contro le tendenze coprofiliche (desiderio di toccare le feci).

Sebbene le fasi dello sviluppo psicosessuale si sovrappongano e si mescolino Funa nell'altra e non si possa pensare che inizino e finiscano all'improvviso, si dice che la fase successiva cominci a circa tre anni di età. Essa è caratterizzata dalla masturbazione infantile, dalla curiosità sessuale, da ambiziosi atteggiamenti competitivi, e soprattutto dal complesso edipico. Questi anni sono chiamati la «fase fallica». Poi, a circa sei anni, subentra un periodo di «latenza», durante il quale la precedente curiosità del bambino per le cose sessuali è sostituita dalla curiosità per il suo intero ambiente. Egli frequenta la scuola, e gran parte delle sue energie è rivolta all'apprendimento.

Approssimativamente a dodici anni, con l'inizio dell'adolescenza, l'interesse sessuale si ridesta, mentre il sistema riproduttivo dell'individuo si matura. L'insicurezza è una delle principali caratteristiche psicologiche di questo periodo burrascoso, ed è collegata al fatto che un corpo completamente maturo deve essere governato da una mente inesperta. Il bisogno di mettersi alla prova diventa manifesto in un'eccessiva competitività e in goffi tentativi di dimostrare maturità e indipendenza, sebbene questi tentativi siano minati da persistenti dubbi. Durante questi anni si verifica una reviviscenza del complesso edipico.

La maturità, o la cosiddetta «fase genitale», è caratterizzata principalmente dall'autoapprovazione, la sicurezza, e la capacità di un amore maturo. Questo modello di comportamento è possibile solo quando recede l'interesse per sé stessi, che finora è stato predominante. Tutte le fasi pregenitali sono per lo più egogentriche, o narcisistiche, poiché l'individuo si occupa della propria crescita, della padronanza del proprio ambiente fisico e mentale. Solo dopo che è raggiunto il limite dello sviluppo, e può essere sicuro di se stesso, l'individuo può rivolgere completamente il proprio amore da se stesso ad altri oggetti.

Due concetti freudiani, quello di «fissazione» e quello di «regressione», contribuirono a spiegare la natura essenziale dei sintomi nevrotici e psicotici. La fissazione è la propensione che hanno gli individui a conservare schemi di comportamento, sentimenti e idee che hanno loro servito bene nel passato. La regressione è la tendenza a ritornare a questi schemi precedenti quando sorgono nuove situazioni che richiedono nuovi adattamenti e apprendimenti, e che l'Io non è ancora capace di affrontare con successo. I nevrotici hanno una tendenza a regredire superiore a quella normale, e i sintomi nevrotici sono espressioni mascherate di precedenti schemi egodistonici che, nelle circostanze attuali, sono non-adatti-vi. Per esempio, un bambino può imparare che strillando può ottenere ciò che gli era stato negato. Più tardi, quando va a scuola, la maestra può rifiutargli il permesso di giocare con un certo oggetto. Il bambino può allora regredire al suo vecchio schema, strillando al fine di ottenere il permesso, invece di accettare il rifiuto o cercare un mezzo meno violento per raggiungere il suo obiettivo.

L'Io impiega i meccanismi di difesa per impedire alle vecchie tendenze egodistoniche di irrompere nella coscienza. Le più importanti di queste difese sono la sovracompensazione o formazione reattiva (come quando una persona debole si comporta come se fosse molto forte, anche al punto di essere uno spaccone), la razionalizzazione, la riflessione sulla propria persona di impulsi ostili ego-distonici (come nelle azioni e atteggiamenti autodistruttivi), e la proiezione delle tendenze inaccettabili attribuendole ad altri. Altri meccanismi di difesa sono la sublimazione (l'incanalare impulsi proibiti in forme accettabili di comportamento, per esempio, le tendenze scopofiliche che portano all'hobby della fotografia) e lo spostamento dell'ostilità o dell'amore nutrito nei confronti di oggetti inappropriati verso oggetti accettabili (come quando uno sposta l'amore per la madre nell'amore per la sua amichetta).4 Tutti questi meccanismi di difesa servono a evitare il conflitto fra il sé sociale di un individuo e le sue tendenze interne primitive; essi agiscono, come si è detto, nel senso di ridurre l'angoscia che insorge quando gli impulsi egodistonici rimossi minacciano di irrompere nella coscienza.

Visti in questa luce, i sintomi nevrotici potrebbero essere intesi come tentativi infruttuosi di autoguarigione. Essi sono infruttuosi perché le difese sono diventate esse stesse fonti di menomazione. Per esempio, un individuo infuriato contro il padre è sul punto di ingiuriarlo; questo desiderio è in diretto conflitto con il suo senso morale, che respinge espressioni di collera nei confronti di un genitore; come conseguenza egli perde la voce; ora non può continuare il suo lavoro, che esige che egli parli; quella che era una difesa (la perdita della voce) contro il desiderio di rimproverare il padre è diventata una menomazione. La menomazione può anche essere sociale. Per esempio, un individuo sente di essere debole; nessuno ama un debole, così egli fa un tentativo di essere amato recitando la parte del forte; ma può esagerare e diventare un bullo; ma nemmeno i bulli sono amati da nessuno; così la difesa (il comportarsi come se si fosse molto forte) contro l'impopolarità a causa della debolezza è diventata una menomazione.

Freud riassunse queste idee, assieme alla sua teoria del trattamento psicoanalitico, nella prima serie di Lezioni introduttive alla psicoanalisi (1916-1917).

Un punto cruciale nel trattamento psicoanalitico è quello che Freud chiamò «transfert». Il transfert è basato sul fatto che, durante il trattamento, il paziente non solo ricorda le sue esperienze passate, ma trasferisce sul terapeuta i sentimenti che egli aveva nei confronti di persone significative nella sua vita passata, principalmente i suoi genitori. Egli reagisce nei confronti del terapeuta in modo simile a come reagiva nei confronti dei genitori. Il riprodurre e rivivere le reazioni nevrotiche originarie consente al paziente di correggerle; le sue inappropriate reazioni passate sono così introdotte nel trattamento. Nel rivivere le sue esperienze passate, il paziente adulto ha un'occasione di venire nuovamente alle prese con eventi ed emozioni infantili irrisolti; la sua forza di a-dulto lo aiuta a risolvere le difficoltà emotive che da bambino aveva trovato insormontabili.

Ciononostante, la tesi principale di Freud era che, per ottenere una guarigione, doveva verificarsi il ricordo degli eventi passati e l'insight del loro significato.

Revisioni e aggiunte alla teoria psicoanalitica

Per più di trent'anni Freud si astenne dal costruire una teoria globale della personalità, sebbene avesse fatto molte importanti osservazioni dettagliate nel suo lavoro con i pazienti. Egli lavorava - e si considerava — come uno scienziato, non come un filosofo, procedendo dall'osservazione alla generalizzazione. Si rifiutò di iniziare con le speculazioni. Infine, nel 1920, pubblicò il primo di una serie di scritti sistematici, speculativi, Al di là del principio di piacere, cui fece seguito una notevole serie di brevi saggi, raggruppati poi nel 1933 nelle Nuove lezioni introduttive alla psicoanalisi. In questi studi Freud tentò una revisione delle sue idee iniziali sulle manifestazioni osservabili delle pulsioni: amore e o-dio, senso di colpa e rimorso, dolore e invidia. Egli le spiegò in termini della logica delle emozioni (causalità psicologica), prima di cominciare a speculare sull'essenza ultima di questi fenomeni basilari. In questo, la storia della psicoanalisi seguì lo stesso schema dello sviluppo della fisica teorica: la natura dei fenomeni fu compresa in un secondo tempo rispetto alle leggi delle loro manifestazioni.

Ai primi inizi dei suoi studi, Freud era molto colpito dal conflitto fra la pulsione di autoconservazione e quella di conservazione della specie, cioè fra gli interessi egoistici dell'individuo e i suoi appetiti sessuali. Conseguentemente, fece una distinzione fra pulsioni dell'Io e libido sessuale. Le manifestazioni di odio e di distruzione furono considerate come appartenenti alle pulsioni dell'Io, mentre i sentimenti d'amore, l'impulso a procreare, e altri impulsi extragenitali orientati verso il piacere furono classificati come pulsioni sessuali. Il fenomeno del sadismo non quadrava però con questo schema dualistico, perché il sadismo, un impulso distinto - ottenere piacere infliggendo dolore - che fa parte delle pulsioni dell'Io, è anche una fonte di eccitazione sessuale ed è quindi sia una manifestazione primitiva, pregenitale, della libido, sia una pulsione dell'Io. L'ulteriore analisi freudiana delle cosiddette pulsioni dell'Io - vale a dire, le diverse manifestazioni di tendenze egoistiche — portò alla luce altre contraddizioni con una semplice teoria dualistica delle pulsioni. Per esempio, l'amore, anche quello sessuale, può avere come proprio oggetto se stesso, come nell'amore narcisistico. Inoltre, molte sensazioni sessuali pregenitali sono collegate a funzioni che sono apertamente autoconservative, per e-sempio il mangiare e l'evacuazione. A causa di queste contraddizioni, Freud, rivide il proprio pensiero e propose un nuovo schema, basato sull'idea che vi sono due pulsioni primarie, la pulsione di vita, che chiamò «eros», e la pulsione di morte, o «thanatos». Nella sua nuova teoria della libido, l'autoconservazione e la conservazione della specie non sono manifestazioni di due differenti pulsioni ma, al contrario, del medesimo moto pulsionale, l'amore o Eros. Nell'autoconservazione, l'oggetto dell'Eros è l'individuo, nella conservazione della specie l'Eros agisce in modo da unificare i due sessi e formare un nuovo individuo. La pulsione di distruzione o di morte, Thanatos, tende a separare e dirompere le unità biologiche. Essa agisce in modo da ridurre il complesso materiale vivente alle sue componenti, ottenendo infine questo obiettivo nel processo della morte. Essa si oppone alla tendenza costruttiva dell'Eros. La vita biologica è una continua interazione fra queste due forze; il processo complessivo del metabolismo, per esempio, è costituito da una fase costruttiva, l'anabolismo, e da una fase riduttiva, il catabolismo. Anche la vita psicologica implica una costante interazione di forze erotiche e distruttive, che appaiono nella vita mentale in miscugli. I migliori esempi di dualismo psicologico sono i fenomeni del sadismo e del masochismo, in entrambi i quali gli impulsi sessuali sono mescolati con tendenze distruttive. Amore e odio sono tuttavia opposti polari, e nessuno dei due può essere ridotto all'altro.

Sebbene vi fossero e vi siano delle obiezioni alla finale teoria dualistica freudiana, indubbiamente questa nuova teoria freudiana delle pulsioni concorda meglio con i fatti osservati. Essa aveva anche una grande applicabilità nell'analisi degli eventi psicosociologici. È utile nello spiegare conflitti come l'individuo contro la famiglia, la famiglia contro il clan, il clan contro la nazione, e le nazioni l'una contro l'altra, come manifestazioni delle pulsioni distruttive o, più esattamente, disruptive; essa aiuta anche a spiegare perché, malgrado queste forze disruptive, siano sempre compiuti degli sforzi per formare unità come la famiglia, il clan, la nazione, e lo stato sovranazionale.

Mentre Al di là del principio di piacere fu un tentativo di Freud di rivedere e sistematizzare le sue idee precedenti sulle pulsioni, L'Io e l'Es (1923) fu il suo primo contributo a una teoria generale della personalità. Esso fu preceduto da Introduzione al narcisismo (1914). In questi scritti l'accento non è più posto sulla patologia mentale ma sulla struttura e il funzionamento della mente normale. Freud aveva sempre sottolineato che la mente umana non era una entità omogenea, dal momento che la rimozione di contenuti mentali inaccettabili determina una divisione fra la parte cosciente e quella inconscia della personalità.

Secondo L'Io e l'Es, l'uomo è nato con un «serbatoio » di esigenze pulsionali caotiche e contrastanti, che non sono necessariamente in armonia fra di loro o con una determinata situazione della realtà esterna. Questo serbatoio di moti pulsionali, ciascuno dei quali cerca la gratificazione senza rispettare gli altri moti pulsionali o le possibilità offerte dalla realtà, costituisce l'Es. L'Es segue quello che Freud chiamò il «principio di piacere», vale a dire, cerca l'immediata gratificazione di tutte le pulsioni senza riguardo per l'organismo totale, e cerca anche di evitare il dolore. Via via che il bambino si sviluppa, il principio di piacere cede gradualmente al «principio di realtà»; vale a dire, l'apparato mentale è costretto a fare un compromesso con la realtà esterna e a modificare le esigenze pulsionali dell'Es conformemente alle possibilità di gratificazione esistenti in una data situazione. Durante il processo evolutivo, il bambino deve imparare a valutare l'importanza relativa delle esigenze pulsionali differenti e contrastanti e a decidere di rimandare o rinunciare alla gratificazione di alcune esigenze per assicurare la gratificazione di altri più importanti bisogni. L'Io è quella parte della personalità che svolge questa funzione coordinatrice di tentare di riconciliare le esigenze della realtà esterna con quelle delle pulsioni. L'Io rappresenta i fatti brutali della realtà; allo stesso tempo, esso serve anche l'Es, perché il suo scopo principale è di assicurare il maggior numero di gratificazioni delle pulsioni fondamentali, per quanto è possibile in ogni data circostanza.

Il Super-io, che si sviluppa dopo l'Io, è il rappresentante interno dei princìpi che regolano i rapporti del bambino, e dell'adulto, con l'ambiente umano, specialmente con i genitori e i fratelli. Il Super-io è il prodotto dell'educazione e si sviluppa attraverso l'identificazione con i genitori; le loro esigenze e i loro atteggiamen ti sono incorporati nella personalità del bambino, e il Super-io diventa il loro rappresentante interno. La vita mentale implica così una continua interazione fra i bisogni pulsionali originari (l'Es), la realtà esterna, e i raggruppamenti interni della realtà esterna, l'Io e il Super-io. Freud spiegò che questi rappresentanti interni dell'influsso dei genitori non si identificavano con la coscienza, perché la funzione del Super-io è in gran parte inconscia: è una specie di coscienza inconscia. Freud affermava che il Super-io appare come un prodotto della risoluzione del conflitto edipico, poiché nel raggiungere questa risoluzione il bambino incorpora l'immagine del genitore dello stesso sesso. Come risultato, il genitore con il quale il bambino competeva diventa una parte integrante della sua personalità, e il conflitto esterno con il genitore è così trasformato in un conflitto interno fra il Super-io e gli impulsi egodisto-nici dell'Es.

In uno scritto teorico, Inibizione, sintomo e angoscia (1925), un altro lavoro sulla struttura della personalità, Freud abbandonò la precedente concezione dell'angoscia, che originariamente considerava come un prodotto della libido sessuale frustrata. Descrisse invece l'angoscia come un segnale dell'avvicinarsi di un pericolo, un segnale che mobilita le difese dell'Io. Quando il pericolo è esterno, il segnale è chiamato paura. L'Io reagisce anche nei confronti di qualsiasi minaccia di irruzione di impulsi egodistonici che sono stati rimossi perché la loro espressione aveva causato sofferenza nel passato. La reazione a questo pericolo interno è l'angoscia. La paura è quindi una reazione di allarme per un pericolo esterno; l'angoscia segnala un pericolo interno.

Secondo questa formulazione, l'angoscia dev'essere considerata centrale per la teoria della nevrosi. Quando sono attivati impulsi egodistonici, il Super-io reagisce nei loro confronti con misure autopunitive, reazione che è percepita dall'Io come senso di colpa. Il senso di colpa consiste quindi in una paura del Super-io, la rappresentanza interna dei genitori, che erano gli originari proibitori degli impulsi inaccettabili. L'angoscia è ridotta a una paura della coscienza.

Questa nuova concettualizzazione della personalità non poteva non influire sul procedimento terapeutico; tuttavia influì più sulla teoria del trattamento che sulla sua pratica effettiva. Fra il 1912 e il 1916 Freud aveva sottolineato che una delle funzioni più importanti del terapeuta è quella di analizzare la resistenza del paziente contro il materiale inconscio, perché solo riducendo questa resistenza l'inconscio poteva essere reso cosciente. Queste successive revisioni teoriche implicavano che la ricostruzione degli impulsi inconsci - cioè l'analisi dell'Es - non era la funzione primaria del terapeuta: era invece il superamento della resistenza dell'Io, e quindi l'analisi dell'Io. L'obiettivo rimaneva lo stesso: l'estensione del dominio della coscienza alle parti fino allora inconscie della personalità. Per ottenere questo scopo occorreva aumentare la capacità del paziente di diventare consapevole delle sue tendenze inconscie. In altre parole, è necessaria una modificazione all'interno dell'Io; ma, abbastanza stranamente, come ciò sia o possa essere ottenuto non era allora pienamente compreso, né lo è ora.

13. I CONTRIBUTI DI FREUD ALLA TEORIA SOCIALE E AGLI STUDI UMANISTICI

Le idee di Freud sulla psicologia di massa hanno avuto un importante influsso nel campo della psichiatria sociale e preventiva, particolarmente per quanto riguarda il ruolo dei fattori culturali nella nevrosi. I suoi primi importanti contributi alla teoria sociale furono fatti in Totem e tabù (1913), in cui Freud applicò le sue teorie psicologiche alla società nel suo insieme. Quest'opera fu seguita da altre due, Psicologia di massa e analisi dell'Io (1920) e Il disagio della civiltà (1927). Per un'ironia, queste opere contengono la maggior parte dei tratti essenziali delle idee sociologiche abbracciate dai neo-freudiani, i quali hanno negato che esse siano classicamente freudiane.

In Totem e tabù Freud seguì l'ipotesi di Darwin che la società umana primordiale consistesse di orde di fratelli guidati da un padre potente. Sotto la spinta del più universale e più importante di tutti i conflitti umani, il conflitto edipico, i figli si ribellarono e uccisero il capo; al che l'orda si trasformò in una società fraterna disorganizzata, una comunità di fratelli senza un capo. Il bisogno dei fratelli di avere un capo potente portò infine al totemismo e successivamente ai sistemi religiosi, il totem e la divinità essendo la reincarnazione del padre assassinato. Freud era convinto che gli esseri umani hanno un profondo bisogno emotivo di una forte leadership, e questa convinzione è la pietra angolare di tutte le sue speculazioni sociologiche. In effetti, Freud nutriva una generale sfiducia per le istituzioni democratiche.

L'essenza della teoria sociale freudiana è che una società umana stabile diventa possibile solo quando le universali tendenze parricide dei figli sono superate, in modo che sia salvata la famiglia, la «cellula della società». Poiché il tabù dell'incesto, che è anche una componente del conflitto edipico, rende obbligatorio il matrimonio al di fuori della famiglia, differenti famiglie sono unite, attraverso il matrimonio, in clan, tribù, e alla fine in nazioni. Il nucleo psicologico dello sviluppo culturale, in questa prospettiva, sta quindi nel superamento dei desideri edipici.

Freud suffragò questa teoria con un esteso materiale antropologico, per la maggior parte tratto da II ramo d'oro (1890) di Sir James George Frazer. L'opera di Frazer suffragava la sua idea dell'universalità del tabù dell'incesto e del tabù di uccidere l'animale totemico, che simbolizza il padre della tribù. Questa teoria sociologica suscitò una quantità di polemiche fra gli antropologi, eppure fu la prima spiegazione psicodinamica delle onnipresenti leggi matrimoniali che proibiscono le varie forme di incesto, e anche della grande diversità dei tabù religiosi nelle società primitive.

In Psicologia di massa e analisi dell'Io Freud fece riferimento a un libro di un medico e psicologo sociale francese, Gustave Le Bon (1841-1931), La psychologie des foules (1895). La tesi principale di Le Bon è che quando l'uomo diventa una parte di un gruppo, regredisce a uno stato mentale primitivo. Agendo come individuo, egli può essere colto e razionale; agendo in gruppo, può comportarsi come un barbaro, essere incline alla violenza, abbandonare il proprio senso critico, diventare emotivo e perdere tutte le sue regole e inibizioni morali. Le sue caratteristiche individuali, peculiari, scompaiono, e la comune eredità ancestrale nell'inconscio umano diventa dominante. Freud spiegò la descrizione lebonniana di questi caratteri regressivi della psicologia di massa in termini della natura della coscienza umana. L'essenza della coscienza è «l'angoscia sociale», la paura dell'opinione pubblica; l'angoscia sociale è naturalmente attenuata nei membri di una massa. Poiché in una massa la voce della coscienza individuale tace, tutto ciò che è stato rimosso, ciò che viola le leggi della coscienza, è libero di apparire disinibito.

Freud segue Le Bon nell'affermare che il comportamento dei membri del gruppo è paragonabile a quello di un individuo che si trova in un intensificato stato di suggestionabilità, come nell'ipnosi, ma solleva una domanda che Le Bon non si pone: Chi è l'ipnotizzatore? Freud sostenne che il capo del gruppo assoggetta i suoi membri a un fascino ipnotico, e che il loro rapporto con il capo spiega le relazioni dei membri fra di loro. Il capo diventa l'ideale dell'Io di ciascun individuo, al quale questi demanda tutte le proprie facoltà critiche, proprio come l'individuo ipnotizzato abbandona la propria autodeterminazione al controllo dell'ipnotizzatore. Questo comune ideale dell'Io, che lega ogni membro del gruppo al capo, determina anche i loro rapporti reciproci, perché attraverso il loro comune attaccamento al capo essi si identificano l'uno con l'altro.

Per spiegare la natura dell'attaccamento del gruppo al capo, Freud utilizza il concetto di «libido inibita nella meta», o libido desessualizzata. I membri del gruppo sono legati al loro capo da legami libidici, ma il capo non ha nessun attaccamento emotivo nei confronti di chiunque tranne se stesso. È precisamente questa qualità narcisistica che ne fa un capo. «Egli non ama nessuno tranne se stesso, o altri individui nella misura in cui essi servono ai suoi bisogni». Il capo è «di carattere autoritario», «sicuro di sé» e «indipendente». Egli rappresenta così qualità che i membri del gruppo non possono avere, e proprio per questo diventa il loro ideale dell'Io.

Introducendo il concetto di libido che lega i membri del gruppo al capo, Freud poteva fare a meno dell'«istinto gregario» di Totter come forza responsabile della coesione del gruppo. La spiegazione freudiana chiariva i rapporti reciproci fra i membri del più elementare gruppo sociale, la famiglia. Il reciproco attaccamento fra i membri della famiglia si rivela come legame libidico e non richiede l'invenzione di un nuovo tipo speciale di pulsione. Lo stesso principio può essere applicato per spiegare sia i legami all'interno della famiglia, sia quelli che operano nella più ampia e-stensione della famiglia:  i gruppi sociali.

La teoria freudiana manca di una completa definizione dei legami affettivi dei membri del gruppo al loro capo; nei termini della teoria psicoanalitica moderna, questo rapporto emotivo può essere descritto come un ritorno all'atteggiamento infantile di dipendenza nei confronti dei genitori. La natura regressiva del comportamento di gruppo è allora spiegata in modo soddisfacente dalla dipendenza infantile che i membri manifestano verso il loro capo, sotto il cui fascino essi rinunciano alle figure parentali interiorizzate (le loro coscienze) e regrediscono alla fase in cui seguivano ciecamente la guida dei genitori. Apparentemente, la maggior parte delle persone conserva sufficienti residui di dipendenza e insicurezza infantile da essere suscettibile a tale regressione emotiva. La beata sicurezza del Giardino dell'Eden è un motivo perenne nell'arte e nella filosofia.

La teoria di Freud servì a chiarire alcuni aspetti della dinamica del comportamento di gruppo. Il concetto di dipendenza dal capo risolve l'apparente contraddizione che un gruppo, che può diventare feroce e distruttivo, è anche capace di abnegazione e devozione. L'atteggiamento del gruppo dipende ovviamente dal carattere e dagli ideali del capo, che può influenzare i suoi seguaci in entrambe le direzioni. Inoltre, ponendo in evidenza la dipendenza del gruppo dal capo, possiamo comprendere più chiaramente il fenomeno del panico. Se il capo diventa debole, i membri del gruppo vengono sopraffatti da un'angoscia paralizzante, poiché la necessaria guida è sostituita da ciò che equivale all'abbandono di bambini indifesi da parte dei loro genitori. Così, nei momenti di pericolo, le società democratiche sono disposte a sacrificare almeno alcune delle loro libertà per accrescere l'autorità del governo.

Nel suo lavoro pionieristico, Freud fece soltanto i primi passi sperimentali verso la comprensione dei princìpi dell'organizzazione sociale, e le sue descrizioni psicologiche sono applicabili principalmente solo alla psicologia di massa. Il problema della coscienza, per esempio, rimane piuttosto elusivo. Un gruppo sociale può rendere l'uomo morale, eppure può contribuire, quando c'è un forte capo, a una mancanza di moralità individuale. Cosa c'è, allora, in un gruppo sociale, che può indebolire il potere della coscienza individuale? Freud riconobbe che il Super-io ha origine nelle organizzazioni sociali, poiché i valori parentali, così come sono trasmessi al bambino, sono quelli che prevalgono nella società. Freud cercò di applicare i medesimi princìpi basilari alla comprensione della struttura emotiva di gruppi saldamente organizzati: la chiesa e l'esercito.

La scelta di questi modelli fu infelice: nella chiesa e nell'esercito, l'autorità centrale è dominante; i loro membri conservano una dipendenza e un'obbedienza sostanzialmente infantile nei confronti della leadership; l'immagine della figura centrale (l'autorità di grado più elevato) è paterna. Soltanto in questo un gruppo casuale sotto un forte leader somiglia a un gruppo strutturato organizzato intorno a una forte autorità. Le società democratiche differiscono da questa formulazione in quanto sono costituite da individui più indipendenti, autogovernantisi, che mantengono con i loro lea-ders un rapporto di interdipendenza e di sovranità condivisa. In una società di questo tipo, i membri possono conservare con successo i propri valori saldamente interiorizzati. In una società di questo tipo, la capacità di un capo di ipnotizzare i membri del gruppo è molto minore ed è sempre tenue. In contrasto con tale situazione, in cui la libertà della coscienza individuale è operante e persino incoraggiata, e in cui un ritorno a un comportamento di massa significa una regressione alla dipendenza infantile da un capo ipnotico, la dipendenza infantile osservata nella chiesa e nell'esercito è fissata.1

Questi fondamentali contributi, con i relativi difetti, erano della massima importanza, ma erano soltanto un inizio che indicava il cammino a ulteriori studi. Lo stesso Freud era pienamente consapevole che lo sviluppo della personalità umana dev'essere visto in termini dell'influsso dei valori e degli standard sociali prevalenti ai quali esso è soggetto. In effetti, gli psicologi e gli scienziati sociali che hanno creduto di distinguersi per il loro orientamento culturale, in contrasto con l'«orientamento biologico ottocentesco» di Freud, in realtà hanno aggiunto pochi nuovi princìpi a questo insight fondamentale. Freud non effettuò studi comparativi sullo sviluppo della personalità in culture differenti. Tali studi divennero possibili solo quando il pensiero psicoanalitico penetrò a fondo nelle scienze sociali, particolarmente nell'antropologia sociale. Però i princìpi basilari dell'influsso plasmante della società sullo sviluppo della personalità furono formulati da Freud.

Ne Il disagio della civiltà Freud concentra l'attenzione sugli impulsi ostili e aggressivi dell'uomo. Per diventare un membro d'un sistema sociale organizzato, l'uomo deve rinunciare all'espressione sfrenata dei suoi desideri individuali. Queste restrizioni sono il prezzo che egli paga per la maggiore sicurezza che gli viene dalla collaborazione con gli altri. Freud afferma qui esplicitamente qualcosa che prima aveva sempre affermato implicitamente, e precisamente che il complesso edipico è originariamente rimosso a causa degli impulsi distruttivi diretti contro il padre, e non a causa della sua connotazione incestuosa. Il desiderio sessuale per il membro femminile della famiglia fornisce il motivo per l'ostilità verso il padre, ma è il desiderio distruttivo che viene rimosso dalla figura parentale incorporata, il Super-io. Questa rimozione deve essere rafforzata da istituzioni sociali esterne, delle quali la giustizia sociale è un fattore indispensabile. Soltanto se ognuno rinuncia ai propri impulsi asociali la rimozione può essere mantenuta in tutta la società; se sono ammesse delle trasgressioni, ciò potrebbe mettere in azione gli impulsi asociali rimossi. Trattenersi dall'esprimere gli impulsi asociali mediante un'azione scoperta non allevia il senso di colpa, poiché questo è suscitato non solo da atti scoperti ma anche da desideri inconsci: non solo gli atti criminali, ma anche i pensieri criminali producono un senso di colpa. Questa colpa sociale è la fonte dell'universale disagio che, secondo Freud, è una parte inevitabile della vita sociale.

Questa visione pessimistica è sostanzialmente identica alla teoria sociale di Hobbes. Hobbes sosteneva che la società umana è formata da individui in lotta l'uno contro l'altro, e che l'uomo è fondamentalmente un animale feroce che dev'essere costretto a una coesistenza pacifica da un potente tiranno. La legge è essenzialmente la legge del forte leader repressivo; mancando tale leadership repressivo esterno, gli esseri umani finirebbero per distruggersi fra di loro. Freud aggiunse alla concezione hobbesiana l'idea di un tiranno interno, il Super-io, che rappresenta il leader originariamente esterno, il padre. Questa teoria sociale, fondata sull'assunzione di un basilare istinto distruttivo come parte inalienabile della natura umana, è stata posta in discussione da molti teorici post-freudiani che non assumono una visione tanto oscura dell'animo umano.

I contributi teorici sistematici di Freud coincidono con il peggioramento della sua salute fisica, che cominciò due anni prima che apparissero i primi segni del suo cancro alla bocca. Nel 1921 egli scriveva: «Il 13 maggio di quest'anno ho fatto davvero un primo passo verso la vecchiaia. Da allora il pensiero della morte non mi ha più abbandonato e talvolta ho l'impressione che sette dei miei organi interni lottino per avere l'onore di mandarmi all'altro mondo. Non v'è stata un'occasione particolare, tranne che in quel giorno Oliver [suo figlio] è venuto a salutarci perché partiva per la Romania. Però non mi sono lasciato prostrare da questa ipocondria, bensì la considero molto freddamente, così come faccio con le mie meditazioni in Al di là del principio di piacere»? È tanto più sorprendente che, sia per qualità che per quantità, la sua produttività intellettuale non mostrasse alcun segno di declino durante questi anni e che, sotto alcuni aspetti, eclissasse persino le sue realizzazioni precedenti. Ernst Jones fornisce un quadro estremamente vivido della forza morale che, fino alla sua morte, Freud mostrò in questi anni di tribolazione fisica e di sommovimenti sociali. Solo un uomo che si è completamente identificato con la propria opera — la cui immortalità era ora assicurata - è capace di un tale atteggiamento eroico. Freud sentiva di aver raggiunto l'unica forma di immortalità che è possibile all'uomo, l'immortalità delle sue creazioni.

Subito dopo, egli ritornò al suo più profondo interesse, le origini della cultura, che lo aveva preoccupato fin dalla prima giovinezza. Freud scrive come poscritto alla propria autobiografia: «Il mio interesse, dopo aver fatto un lunghissimo detour attraverso le scienze naturali, la medicina e la psicoterapia, ritornava ai problemi culturali che mi avevano affascinato molto tempo prima, quando ero un giovane appena in grado di pensare». Questo interesse per le origini della società umana e per gli studi umanistici era venuto in luce intermittentemente in brevi scritti durante tutta la sua carriera; ma dopo il 1921 esso divenne il centro della sua preoccupazione. L'interesse di Freud per la medicina era stato un detour. Egli era in primo luogo un pensatore che si interessava del rapporto dell'uomo con il mondo e con la società. La scienza naturale ebbe su di lui un profondo influsso, ma nel suo cuore egli rimaneva soprattutto un umanista. Un'indicazione del suo senso estetico si può trovare nel fatto che la sua squisita padronanza della prosa tedesca gli fece ottenere nel 1930 il Premio Goethe.

Da questi suoi interessi emersero gli studi sulle fonti della creatività e le spiegazioni dei fondamenti psichici della letteratura. In un saggio sulla Gradiva di Jensen (1907), Freud dimostrò con grande lucidità l'influssso sul comportamento attuale di fantasie infantili, che viene mobilitato dalle avversità attuali. In altri scritti egli dimostrò un profondo insight dei personaggi di Lady Macbeth, Amleto, e Riccardo III, mostrando in termini psicodinamici quello che Shakespeare aveva afferrato intuitivamente. La sua introduzione all'edizione tedesca de I fratelli Karamazov di Dostoevskij è il più vivido di questi scritti. In questo saggio Freud dimostrò in modo convincente che tutti i quattro fratelli erano spinti dai loro inconsci desideri parricidi, che essi esprimevano in quattro modi differenti, estremamente individuali. I suoi saggi sul Mosè di Michelangelo e su Leonardo da Vinci sono esempi del suo costante interesse per la psicologia dell'arte.

L'avvenire di un'illusione (1928), dedicato alla religione, è forse il più filosofico fra tutti gli scritti di Freud. Il suo interesse per la religione era puramente psicologico, e in questo saggio egli fa risalire il sempre presente bisogno della religione da parte dell'uomo al suo bisogno, profondamente radicato e mai dominato, di dipendenza infantile, bisogno che è suscitato quando egli affronta il grande ignoto: il mondo circostante con il quale deve trattare. In Psicologia di massa e analisi dell'Io Freud aveva studiato il bisogno dell'uomo di un capo potente - un sostituto del padre - come il cemento psicodinamico della società; ne L'avvenire di un'illusione egli scopre il medesimo bisogno come la fonte più profonda dei bisogni religiosi.

Il suo ultimo libro, Mosè e il monoteismo (1939), è indubbiamente quello maggiormente motivato dai bisogni emotivi dello stesso Freud. Esso fu scritto quattro anni prima della sua pubblicazione, quando la persecuzione hitleriana degli Ebrei cominciava a gettare la sua ombra sull'Europa. La tesi principale di Freud è che Mosè non era un ebreo, ma un egiziano che elaborò la sua credenza nel monoteismo sotto l'influsso d'una tendenza egiziana allora prevalente, e che riuscì a convertire gli Ebrei a questa nuova idea. Alla fine, Mosè, un leader collerico e prepotente, fu ucciso dai suoi seguaci ribelli, e questo omicidio divenne la fonte di un inconscio senso di colpa, dal quale gli Ebrei non seppero mai liberarsi. La profonda fonte emotiva di quest'ultima pubblicazione è stata magistralmente ricostruita da Jones nella sua biografia di Freud. Discutendo Mosè e il monoteismo, Jones propose le sue i-dee più originali sugli aspetti inconsci della personalità di Freud. Mosè e il monoteismo, che è il più lungo e il meno conciso e lucido dei libri di Freud, è ciononostante quello che maggiormente lo rivela come persona.

Jones richiama l'attenzione sulla peculiare propensione di Freud a credere che spesso le persone non sono quello che sembrano essere. Mosè non era un ebreo ma un egiziano di alto lignaggio; Shakespeare non era il figlio di un incolto borghese inglese ma (almeno così pensò Freud per un certo tempo) Sir Francis Bacon o Edward de Vere, il diciassettesimo conte di Oxford. Jones collega questa predilezione di Freud con il desiderio cosciente della sua giovinezza di essere stato il figlio del suo fratellastro inglese, Emmanuel, il che gli avrebbe reso più facile la strada nella vita. Possiamo anche aggiungere che questo desiderio per una strada più facile è espressa anche in quello che scrisse una volta di Einstein: «Quel tipo fortunato se l'è passata molto meglio di me: ha avuto il sostegno di una lunga serie di predecessori, da Newton in poi, mentre io ho dovuto aprirmi la via passo a passo, da solo, attraverso una giungla intricata. Non stupisce quindi che il mio sentiero non sia molto largo e che io non sia andato molto lontano».5

Freud sopravvalutava il riconoscimento ufficiale o, il che è lo stesso, talvolta si mostrava ostentatamente indifferente a questo proposito, anche quando aveva già raggiunto una fama mondiale. Tutto questo completa il quadro di un conflitto mai completamente risolto. Esternamente, Freud portava eroicamente il peso della discriminazione, prima come membro di una minoranza etnica e più tardi come lo scopritore delle verità più impopolari sulla natura umana, il che lo condannò a vivere sempre all'opposizione. Non si rese mai perfettamente conto, tuttavia, del proprio desiderio nascosto, ma fin troppo umano, di essere pienamente accettato e di ottenere il riconoscimento ufficiale da parte delle autorità. Gli psicoanalisti sanno troppo bene che l'effetto delle esperienze passate non può mai essere abolito completamente. Se non altro, esso si manifesta in misure di difesa contro queste penose esperienze passate.

Jones non trae esplicitamente la conclusione che la nevrosi di Freud, che era manifesta nei suoi anni di lotte, era almeno in parte responsabile dell'estremo coraggio e forza d'animo con cui superò la sua precedente insicurezza. Eppure, allo stesso tempo, questa «sovracompensazione» — l'estremo eroismo di Freud — produsse in lui una nostalgia per una esistenza meno dura e più pacifica.

Egli visse una vita emotivamente logorante e non cedette mai all'ostracismo da parte dei suoi colleghi e delle autorità. E non smise mai, almeno nelle pieghe profonde e inconscie della sua personalità, di trastullarsi con la fantasia di essere, come Mosè, con il quale si identificava, sulla giusta strada. Questa fantasia gli serviva come una grande fonte di soddisfazione, perché gli consentiva di credere di essere lui stesso a respingere la beatitudine del conformismo e della sicurezza e a scegliere il ruolo del pioniere che fa valere le «verità» contro la resistenza del mondo medico. Questo è invero un segno di forza ancora più grande che opporsi alla maggioranza come un outsider che, a causa della sua razza, è inevitabilmente destinato a lottare non per propria scelta ma per destino.

Mosè e il monoteismo fu scritto quando l'eroismo di Freud aveva raggiunto il suo apice, quando fu lasciato solo a Vienna dai suoi discepoli, di fronte al suo inevitabile declino fisico e con il presentimento dello sterminio del suo popolo. Eppure rifiutò ostinatamente di lasciare Vienna, anche quando i nazisti invasero l'intimità della sua casa e lo sottoposero a un degradante interrogatorio. Alla fine cedette alle suppliche dei suoi amici e, con l'aiuto di Jones e della fedele seguace di Freud, la principessa Marie Bona-parte, lasciò Vienna per andare a Londra, dove morì poco dopo, nel 1939, nella cerchia della sua famiglia.

14. IL MOVIMENTO PSICOANALITICO

Le idee di Freud cambiarono profondamente la concezione che l'uomo aveva di se stesso; esse provocarono inevitabilmente un rigetto violento e, inizialmente, quasi universale, che per dieci anni Freud dovette affrontare in quello che chiamò «splendido isolamento». Gradualmente, attrasse un pugno di seguaci, principalmente di Vienna e poi dalla Svizzera, dall'Ungheria e dall'Inghilterra, e questi uomini collaborarono con lui all'organizzazione di una piccola comunità professionale dedicata allo sviluppo di una nuova disciplina: la psicoanalisi. Lo stato attuale della pratica e dell'insegnamento della psicoanalisi porta ancora il segno di questi avvenimenti; per questo faremo qui una breve storia degli inizi del movimento psicoanalitico.

Durante l'ultimo decennio del XIX secolo, quando era così isolato, Freud soffriva per la solitudine; però, come osservò in seguito, era anche capace di concentrarsi sul suo lavoro senza essere disturbato dai dissensi che presto si svilupparono fra i suoi primi seguaci, e dalla necessità di polemizzare con oppositori disinformati. Nel 1902 un gruppetto di medici interessati alle sue idee cominciò a incontrarsi a casa di Freud. Fra questi c'erano Alfred Adler (1870-1937) e Wilhelm Stekel (1868-1940). Queste «riunioni del mercoledì sera» continuarono per alcuni anni; poi, nel 1907, a Vienna, fu organizzata la prima Società Psicoanalitica ufficiale, con a capo Freud. Nello stesso anno Freud incontrò per la prima volta Cari Jung (1875-1961), Karl Abraham (1877-1925) e Max Eitington (1881-1943), tutti giovani psichiatri che studiavano con Bleuler al Burghölzli, l'ospedale psichiatrico pubblico di Zurigo. (Eitin-gton fu il primo psichiatra a essere sottoposto ad analisi didattica con Freud, il che avvenne durante brevi passeggiate serali per le strade di Vienna). Presto si unì al gruppo anche Sandor Ferenczi (1873-1933) di Budapest, che divenne il più fidato amico di Freud e il suo collaboratore più originale e dotato di immaginazione.

La prima riunione internazionale di psicoanalisti fu organizzata da Jung ed ebbe luogo a Salisburgo nel 1908. A questo congresso Freud lesse uno dei suoi famosi casi clinici, «Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva» (l'uomo dei topi). La prima rivista psicoanalitica, lo Jahrbuch für psychoanalytische und psychopathologische Forschungen, diretto da Jung, fu pubblicata in quell'anno. Nel 1909 Freud accettò l'invito di G. Stanley Hall, preside della Clark University di Worcester, nel Massachusetts, di tenere una serie di lezioni, e venne in America accompagnato da Jung e Fe-renczi.

Il secondo congresso psicoanalitico internazionale fu tenuto a Norimberga nel 1910, e in quell'occasione fu fondata la Società Psicoanalitica Internazionale. I latenti antagonismi scoppiarono fra il gruppo viennese e quello svizzero. Jung fu eletto presidente della Società. Conseguentemente Freud rassegnò le dimissioni da presidente del gruppo viennese, in modo che potesse essere nominato presidente Adler. Freud acconsentì anche che Adler e Stekel dirigessero il mensile Zentralblatt fiir Vsychoanalyse. Nacque anche u-na terza pubblicazione, un bollettino per informare i soci delle riunioni, di nuove pubblicazioni e notizie.

Nella sua biografia di Freud, Jones osserva acutamente che a questa riunione divenne evidente la struttura gerarchica della Società Psicoanalitica. Jones afferma che Freud pensava che la Società non dovesse essere organizzata come una democrazia, ma come una gerarchia, forse come riflesso dell'atteggiamento monarchico naturale a un viennese. La rigidità che ne risultò fu responsabile di gran parte delle polemiche che circondarono il movimento psicoanalitico, e di cui la prima vittima fu Eugene Bleuler (1857-1939), professore di psichiatria al Burgholzli di Zurigo.

Bleuler rassegnò le dimissioni dalla Società Internazionale nel 1910 per ragioni attinenti alla sua antipatia per il modo autoritario in cui era diretta l'associazione. Freud tentò di convincere Bleuler a ritirare le sue dimissioni, ma senza successo; la loro corrispondenza su questo argomento indica che un fattore determinante potrebbero essere state le profonde differenze di orientamento culturale. Per il movimento psicoanalitico e per il ruolo che la psicoanalisi ebbe nella storia della psichiatria, è deplorabile che questi due uomini di assoluta integrità non abbiano potuto collaborare, eppure ciò fu inevitabile.

Un'indicazione sul perché questa rottura fosse stata inevitabile si può trovare in una lettera di Bleuler a Freud, in data 19 ottobre 1910: «Fra di noi c'è una differenza che ho deciso di doverle far notare, per quanto tema che ciò Le renderà più difficile l'addivenire a un accordo. Per Lei, evidentemente, definire la Sua teoria e assicurarne l'accettazione è diventato lo scopo e l'interesse di tutta la Sua vita. Non sottovaluto di certo il Suo lavoro. Lo si paragona a quello di Darwin, Copernico e Semmelweis. Anch'io sono convinto che, per la psicologia, le Sue scoperte siano altrettanto fondamentali quanto le teorie di questi uomini lo sono per altre branche della scienza, indipendentemente dal fatto di attribuire o no ai progressi della psicologia un valore pari a quello delle altre scienze. Quest'ultimo punto è una questione di opinioni soggettive. Per me, la teoria è solo una nuova verità fra altre verità. Ne prendo le difese perché la considero valida, e perché penso di poterla giudicare, dal momento che lavoro in un campo collegato. Ma per me non è una questione capitale se la validità di queste idee sarà riconosciuta qualche anno prima o dopo. Perciò sono meno tentato di Lei a sacrificare tutto me stesso al progresso della causa [della psicoanalisi]».

Freud si identificava completamente con la sua opera. Il destino di questa era il suo stesso destino. Gli era inoltre naturale fare del suo geloso pugno di ardenti seguaci il nucleo di un'organizzazione. Mancando il sostegno di un'università o di un'altra istituzione accademica, doveva crearsi un proprio piccolo universo scientifico, le proprie riviste, la propria stampa. Che facendo questo aumentasse l'isolamento della psicoanalisi e perpetuasse un'aura di e-sclusività e d'intolleranza non era facile da vedere per coloro che si trovano all'interno del movimento. Freud, più dei suoi allievi, avvertiva l'importanza del fatto che, attraverso il Burghölzli, la psicoanalisi potesse trovare una via d'ingresso nella comunità accademica, e perciò tentò di trattenere Bleuler, il rappresentante della psichiatria accademica, come un anello di collegamento. Bleuler, d'altro canto, non era coinvolto emotivamente nel lavoro di Freud, e visualizzava lo sviluppo della psicoanalisi nei termini accademici delle altre discipline scientifiche. Riconosceva l'esigenza di un'organizzazione, ma la concepiva come un foro di discussioni e ricerche, non come il portatore di un «movimento» la cui «verità» dovesse essere custodita e proselitizzata.

Un incidente, riguardante qualcun altro, fornì a Bleuler il motivo per chiarire le ragioni che stavano al centro del suo disaccordo con Freud, come anche tra Freud e altri che, in diverse circostanze, avrebbero potuto essere suoi alleati. Il dottor Maier, uno psichiatra, aveva chiesto di ritirarsi dalla Società psicoanalitica a causa di divergenze d'opinione. In una lettera in data 11 marzo 1911, Bleuler scrisse: «... 'Chi non è con noi è contro di noi', il principio del ' tutto o nulla ' è necessario per le sette religiose e i partiti politici. Posso comprendere tale politica, ma per la scienza la considero dannosa. Non c'è nessuna verità definitiva. Da un complesso di nozioni, una persona accetterà un particolare, un'altra persona un altro particolare. Le nozioni parziali, A e B, non si determinano necessariamente l'una con l'altra. Non penso che, nella scienza, se qualcuno accetta A, debba necessariamente giurare anche su B. Non riconosco nella scienza né porte aperte né porte chiuse, non ci dovrebbero essere affatto nessuna porta, nessuna barriera. Per me, la posizione di Maier è valida o non valida come quella di chiunque. Lei afferma che voleva solo i vantaggi [di essere socio], ma non voleva fare nessun sacrificio. Non comprendo che tipo di sacrificio avrebbe dovuto fare, se non sacrificare una parte delle sue convinzioni. Non dovrebbe chiedere questo a nessuno. Ognuno dovrebbe accettare le idee soltanto nella misura in cui sono le sue idee; se uno accetta qualcosa di più è insincero; Lei è, naturalmente, della stessa opinione.

«Non credo che l'Associazione tragga vantaggio da tale intransigenza. Questa non è una ' Weltanschauung '...

«Lei pensa che le mie dimissioni dalla Società nuoceranno alla psicoanalisi più di quanto la mia adesione sia stata d'aiuto nel passato. Per quanto posso vedere, io sono il solo a perdere qualcosa ...

«L'adozione della politica della 'porta chius ' ha fatto fuggire moltissimi amici e ha fatto di alcuni di essi degli oppositori emotivi. La mia adesione non cambiò minimamente le cose, né le mie dimissioni cambiano questo fatto. La Sua accusa, che avrei dovuto considerare il danno che causo alla società con le mie dimissioni, non mi sembra quindi valida».

Non è possibile per lo storico giudicare il valore della spinta in avanti che fornì l'intensa dedizione emotiva di Freud e dei suoi primi seguaci, confrontata con l'influenza ritardante della prematura istituzionalizzazione di una giovane dottrina scientifica. È certo tuttavia che l'immagine di un piccolo gruppo di eroici pionieri che lottano contro l'intero mondo recalcitrante si è perpetuata fin nei nostri tempi, quando il clima culturale è cambiato. Questo è un esempio del ritardo culturale che frena il progresso.

La defezione di Bleuler dal movimento psicoanalitico segnalò quindi l'isolamento della psicoanalisi dalla psichiatria accademica e annunziò il suo sviluppo come un'organizzazione gerarchica sempre più centralizzata. L'effetto ritardante dell'istituzionalizzazione su tutte le forme di sviluppo culturale è ben noto. Nel caso della psicoanalisi, la sua progressiva istituzionalizzazione al di fuori delle università - le sedi tradizionali della ricerca e dell'insegnamento che attraverso i secoli hanno appreso a conservare i valori tradizionali della scienza — ne rallentò il progresso e perpetuò uno spirito conservatore dal quale ancor oggi la psicoanalisi non si è del tutto emancipata. E così accadde che un nuovo modo rivoluzionario di considerare la personalità umana non potè realizzare a pieno le sue peculiari e quasi illimitate possibilità. Questi avvenimenti storici ritardarono non tanto lo sviluppo del pensiero psicoanalitico quanto il suo influsso sulla psichiatria nel suo insieme. In Europa, l'influsso della psicoanalisi sulla psichiatria giunse subito a un punto morto quasi completo. Solo negli Stati Uniti, dove gli psichiatri non furono coinvolti nella faida originaria tra Freud e la psichiatria accademica, la psicoanalisi potè penetrare efficacemente nell'insegnamento e nella pratica della psichiatria.

Dal 1910 fino allo scoppio della prima guerra mondiale, il pensiero psicoanalitico si diffuse in tutta l'Europa e negli Stati Uniti, l'India e il Sudamerica. Alle due società già esistenti a Vienna e a Zurigo, ne fu aggiunta una terza nel 1908 da Karl Abraham, che fondò la Società Psicoanalitica di Berlino. Nel 1910 Leonhard Seif organizzò la Società di Monaco, e James Putnam (1846-1918), di Boston, la Società Americana. Nel 1913 nacque la Società di Budapest, sotto Ferenczi, e subito dopo Ernest Jones organizzò il primo gruppo inglese. Nel 1911, sotto la presidenza di Abraham Brill (18744928), fu fondata la New York Psychoanalytic Society; nello stesso anno, un secondo gruppo americano, l'American Psycho-analytical Association, fu autorizzato dalla Società Psicoanalitica Internazionale. Putnam era il presidente dell'American Psychoanalytical Association, che ha anche membri canadesi, ed Ernst Jones, che a quel tempo viveva a Toronto, ne era il segretario.

Durante questi anni anche il numero dei periodici dedicato alla psicoanalisi aumentò. La rivista ufficiale della Società Psicoanalitica Internazionale, l'Internationale Zeitschrift für Ärtzliche Psychoanalyse, fu fondata nel 1913 per sostituire lo Zentralblatt, lasciando in carica Stekel. Sebbene fosse un brillante scrittore e avesse una buona comprensione intuitiva dei processi inconsci, Stekel era considerato irresponsabile e non dava affidamento. L'insoddisfazione di Freud per la sua linea di condotta portò alla nascita dello Zeitschrift, che rimase in vita fino a quando Hitler lo sciolse. Pochi mesi prima, Hanns Sachs (1881-1947) e Otto Rank (1884-1939), due seguaci non medici di Freud, fondarono Imago, una rivista dedicata all'applicazione della psicoanalisi all'arte, la letteratura, la mitologia e l'antropologia. Dopo essere emigrato a Boston, Sachs fondò, nel 1939, una rivista Imago americana, che è ancora in vita.

In coincidenza con questi vigorosi progressi, fra gli iniziali seguaci di Freud si verificarono numerosi conflitti. Adler fu il primo a staccarsi, seguito da Jung. Le ragioni per cui questi due dissidenti se ne andarono per la loro strada erano diverse. Freud e Adler avevano concezioni teoriche contrastanti, e alcune idee di Adler (che saranno discusse in dettaglio più avanti) si sono dimostrate valide. Un motivo personale, il suo accento sulla propria originalità, fu tuttavia un fattore importante che spinse Adler a costruire un sistema radicalmente diverso da quello di Freud. Freud considerava il sistema di Adler, sebbene falso, almeno «consistente e coerente». Le ragioni della secessione di Jung erano invece più complesse e, come affermò Freud, scientificamente meno «serie». Nel dissenso di Jung ebbero una parte importante dei fattori culturali. C'era un antagonismo fra gli analisti viennesi, da una parte, e Jung e il gruppo di Zurigo, dall'altra, anche quando Freud ammirava ancora Jung e gli affidò la presidenza della Società Psicoanalitica Internazionale, allora appena formata. Dopo che Bleu-ler aveva lasciato l'Associazione Freud sperava ancora che Jung avrebbe condiviso con lui la leadership del movimento psicoanalitico.                                                                                   '   ' *^

Sfortunatamente, l'orientamento di Jung verso la psicologia era viziato da idee mistiche ed esoteriche; la sua era, come disse Abraham, una tendenza all'«occultismo, l'astrologia e il misticismo». Inoltre, la propensione di Jung per l'opportunismo e il compromesso diventava sempre più evidente. Jung aveva scritto a Freud dall'America che stava avendo successo nel vincere la resistenza contro gli scritti di Freud attenuando l'importanza del fattore sessuale nella nevrosi. Freud detestava le concessioni su argomenti scientifici, e replicò causticamente che, se avesse omesso ancora di più, l'opposizione sarebbe ulteriormente diminuita, e che, non menzionando affatto le teorie sessuali, non ci sarebbe stata assolutamente nessuna opposizione.

Dopo la defezione di Adler e di Jung, gli sviluppi psicoanalitici furono diretti da un piccolo gruppo di fedeli seguaci di Freud, tutti viennesi e tedeschi, tranne l'ungherese Sandor Ferenczi ed Ernest Jones (1879-1958). Era stata un'idea di Jones, derivatagli dalle letture infantili sul Carlomagno e i suoi paladini, quella di costituire questo «gruppo interno particolarmente chiuso di fidati analisti, che rispetto a Freud dovevano formare una specie di guardia del corpo ». Questo piccolo gruppo - originariamente, Abraham, Jones, Ferenczi, Hanns Sachs, Otto Rank, e più tardi Max Eitingon - divenne noto come il «Comitato». Jones scrive che i membri del Comitato si impegnarono che, qualora uno di essi «si sentisse costretto a sostenere opinioni decisamente contrastanti con la dottrina psicoanalitica riconosciuta, prima di pubblicarle le avrebbe sottoposte a una discussione privata e approfondita con il resto del gruppo». Ciò non era altro che la realizzazione del sistema gerarchico che Ferenczi aveva proposto per la Società Psicoanalitica Internazionale nel 1910; pur tenendo conto delle circostanze attenuanti che suggerirono questa politica e la resero una misura necessaria si trattava in definitiva di un controllo del pensiero. Sfortunatamente, questo atteggiamento esclusivistico persistette nel movimento psicoanalitico, e in certa misura è tuttora presente.

La storia del movimento psicoanalitico fornisce un quadro rivelatore di un comune ciclo storico: come i primi proponenti di una nuova idea scientifica rivoluzionaria, sotto la costante, ostinata opposizione - determinata da fattori emotivi - e i maligni avversari, possano essere spinti ad assumere la posizione di conservatori, talvolta addirittura di dogmatici difensori della verità, piuttosto di quella di promotori della verità. Per i pionieri, esposti costantemente agli insulti personali da parte di oppositori ignoranti e prevenuti, l'unità interna diventa più importante di qualsiasi altra cosa. Essi considerano come loro maggiori nemici non i franchi oppositori, ma quei deviazionisti, all'interno del loro stesso gruppo, che non riescono a sopportare l'impopolarità e la critica del pubblico, e sono pronti a scendere a compromessi su quei punti fondamentali che il pubblico rigetta a causa della loro novità e della loro natura emotivamente disturbante. Storicamente importante è il fatto che le società psicoanalitiche non sono mai riuscite a liberarsi del tutto di questa eredità culturale.

Dopo la prima guerra mondiale, le società psicoanalitiche ripresero le loro attività nei centri metropolitani dell'Europa e degli Stati Uniti. I più vecchi centri europei continuarono il loro costante sviluppo sotto la direzione dei grandi pionieri Abraham, Ferenczi e Jones. A Berlino, Max Eitington, Hanns Sachs (1881-1947), Sandor Rado, Franz Alexander (1891-1964), Otto Fenichel (1897-1946), Siegfried Bernfeld (1892-1953), Karen Horney (1885-1953) e Felix Bòhm contribuirono all'organizzazione del primo Istituto per il training psicoanalitico, che attrasse molti studenti americani di psicoanalisi. L'anno dopo, nel 1920, un gruppo di sperimentati analisti, come Paul Federn (1872-1950), Helene Deutsch, Herman Nunberg, Edward Hitschmann (1871-1957) e altri, organizzarono l'istituto di Vienna. A Londra, a Ernest Jones si unì subito un gruppo di fecondi psicoanalisti, tra i quali c'erano Montague David Eder (1866-1936), Edward Glover, John Rickman (1891-1951), James Strachey, Ella Freeman Sharpe, Joan Riviere e Melanie Klein. In Francia, verso la metà degli anni venti, dopo un periodo di attività relativamente scarsa, apparve un gruppo vigoroso, stimolato dalla personalità piena d'immaginazione della principessa Marie Bonaparte. In Olanda, Van der Emden, J. H. W. Van Opphuijsen (1882-1950) e l'estremamente dotato August Starcke (1880-1954) guidarono lo sviluppo di un gruppo olandese; e in Italia Edoardo Weiss organizzò una società psicoanalitica. Presto apparvero sporadici inizi nei paesi scandinavi e in Belgio. In Svizzera, dopo la defezione di Jung, assunsero la guida Phillip Sarasin e il reverendo Oskar Pfister (1873-1956), ai quali più tardi si unirono Heinrich Meng e Hans Zulliger.

Alcuni centri psicoanalitici organizzarono istituti per il training psicoanalitico, che in linea di principio usavano il sistema didattico stabilito dall'Istituto di Berlino: il training teorico e pratico era fornito dopo - o parzialmente in coincidenza con - un'analisi didattica obbligatoria. Il primo analista didattico ufficiale fu Hanns Sachs, che fu nominato dall'Istituto di Berlino nel 1921; il primo candidato analista fu Franz Alexander. In tutti i centri didattici furono organizzati dei comitati per selezionare i candidati e valutarne la personalità, nel tentativo di scegliere quelli che sarebbero stati più adatti a praticare la psicoanalisi. La maggior parte degli attuali istituti psicoanalitici degli Stati Uniti seguirono il modello didattico dell'Istituto di Berlino. Dopo New York e Chicago, altri centri per il training psicoanalitico furono istituiti a Phila-delphia, Boston, Detroit, Topeka e San Francisco, seguiti più tardi dai centri di Washington, Los Angeles, Seattle, Denver e New Orleans.

Verso la fine della seconda guerra mondiale, l'istituzionalizzazione della dottrina e della pratica psicoanalitiche procedeva a pieno ritmo. Gli incidenti psichiatrici durante la guerra costituivano una tremenda sfida, e molti medici erano attratti dalla psichiatria. L'influsso della psicoanalisi su questi sviluppi negli Stati Uniti fu enorme, ma la psicoanalisi non fu mai separata dalla psichiatria accademica tanto rigidamente come lo era in Europa. A. A. Brill, che per primo tradusse in inglese gli scritti di Freud, era molto rispettato dagli psichiatri accademici. Smith Ely Jeliffe (1866-1945), un neurologo e neuropsichiatra di New York, e William Alanson White (1870-1937), del St. Elizabeth Hospital di Washington, ebbero un ruolo essenziale nel gettare un ponte fra gli psicoanalisti e gli psichiatri accademici.

La centralizzazione dell'American Psychoanalytic Association progredì costantemente. Fin dagli inizi del movimento psicoanalitico, i leaders ritennero che l'Associazione avesse il dovere di mantenere uno stretto controllo e direzione sul training psicoanalitico. Seguendo una vecchia tradizione iniziata al Congresso di Norimberga (1910), questo compito fu affidato ai comitati centrali. Tuttavia, non appena la psicoanalisi penetrò nei dipartimenti universitari di psichiatria, sorse un dilemma relativo all'integrazione della psicoanalisi con il resto dell'istruzione psichiatrica. Questi importantissimi sviluppi, che inevitabilmente ebbero un grande influsso sull'ulteriore corso della psichiatria americana, sono discussi nell'Appendice C.

15. I PIONIERI DELLA PSICOANALISI

È stato detto che nessuna società può essere migliore dei suoi membri. Meno spesso si è riconosciuto che i membri di una società possono essere molto migliori della società che essi formano, il che è certamente vero per la psicoanalisi. Gli stessi pionieri, compreso Freud, che fondarono la restrittiva Società Psicoanalitica Internazionale, le sue società affiliate, e gli istituti didattici, lavorarono anche diligentemente e saggiamente per far progredire questa nuova branca del sapere. Dopo la scoperta freudiana del campo dell'attività mentale inconscia, particolarmente quello della psicologia dei sogni, uno sconfinato territorio era aperto all'osservazione e alla teorizzazione. Sebbene la maggior parte di questi uomini fossero dei medici, il loro interesse principale era la ricerca del sapere e non la cura dei malati; anche in questo essi seguirono Freud, che non fu primariamente un terapeuta ma un ricercatore volto ad allargare le conoscenze di base. Questa tradizione di ricerca può essere una delle ragioni per cui il metodo del trattamento psicoanalitico è cambiato molto poco dalle sue origini.

Karl Abraham

Indubbiamente uno dei più importanti pionieri fu Karl Abraham (1877-1925). Nel suo necrologio di Abraham, Freud lo definì «integer vitae scelerisque purus». Nessun'altra espressione caratterizza meglio la scrupolosa integrità di Abraham, che si estendeva a tutti gli aspetti della sua vita, compresi il suo lavoro scientifico e i suoi rapporti personali con i suoi colleghi e la sua famiglia. Un signore riservato e dall'aria distinta, egli aveva un'espressione cortese, cordiale. Abraham era nato a Brema. Acquisì una certa e-sperienza psichiatrica in Germania, e poi fu nominato al Bur-ghòlzli sotto Bleuler. Così fu uno dei primi psichiatri di questo ospedale, assieme a Bleuler e Jung, a venire a conoscenza del lavoro di Freud.

Prima di studiare medicina, Abraham si era interessato di filosofia e linguistica, che utilizzò entrambe nel suo successivo lavoro psicoanalitico. I suoi contributi coprono una vasta gamma di argomenti: lo sviluppo sessuale infantile, la demenza precoce, gli stati maniaco-depressivi, un classico saggio sul complesso di castrazione femminile, gli studi antropologici, e la relazione della psicologia dei sogni con la mitologia.

Uno dei più duraturi contributi di Abraham riguarda la formazione del carattere. Egli mise in contrasto il carattere «orale», facilone ed ottimistico, con il carattere «anale», autoritario e possessivo, descrizioni che ora fanno parte delle nozioni correnti delle persone colte. Il suo lavoro pionieristico sull'influsso delle prime fissazioni pregenitali sulla formazione del carattere è stato così interamente assimilato nel pensiero psichiatrico moderno che se ne è quasi dimenticata la fonte. Il suo contributo più importante riguardava le primissime fasi dello sviluppo psicosessuale, particolarmente le manifestazioni infantili orali ed erotico-anali, che aiutarono Freud a formulare la sua teoria della libido. Le sue penetranti osservazioni sui soggetti mitologici, usando come chiave il simbolismo onirico, influenzarono altri psicoanalisti, come Geza Roheim e Theodor Reik, e anche alcuni antropologi americani, tra i quali Margaret Mead, Ruth Benedict, Ralph Linton e Abraham Kardiner.

Abraham scrisse uno dei primi saggi psicobiografici basati su un approccio psicoanalitico. Questo saggio riguardava il pittore italo-svizzero Segantini. Questi contributi, come anche il suo lavoro sulla psicologia del lutto e della melanconia, elaboravano idee derivate da Freud, e in questo senso Abraham fu veramente un discepolo; ma fu un discepolo che dimostrava una eccezionale comprensione intuitiva dei processi mentali inconsci, e che possedeva anche notevolissime capacità d'osservazione e di ragionamento.

Il segreto della grande influenza personale di Abraham sta nelle sue vedute autenticamente cordiali e ottimistiche, nella sua mancanza di fervore fanatico, e in una onestà che colpiva tutti coloro che vennero in contatto con lui.

Ernest Jones

Nato due anni dopo di Abraham, nel 1879, in un piccolo villaggio gallese, la via alla psicoanalisi di Ernest Jones fu completamente diversa da quella dei suoi colleghi mitteleuropei. Lacerato fra la sua ammirazione per lo stile inglese e una profonda lealtà per le sue origini gallesi, Jones divenne un avvocato delle cause perse e allo stesso tempo deciso a diventare alla fine un rispettabile medico di Hartley Street. Si dichiarava uno snob ed era perfettamente consapevole della sua cieca determinazione di arrivare al successo; d'altra parte, era dolorosamente consapevole di una incapacità nevrotica di godere dei propri successi e di un impulso autodistruttivo al fallimento. Per Jones, il successo significava infedeltà alle proprie origini, e perciò riuscì ad accettare il successo personale solo dopo che ebbe trovato una forma di espiazione più costruttiva del fallimento. Questa consisteva nella sua costante fedeltà a Freud e alla causa impopolare della psicoanalisi.

Jones si laureò in medicina nel 1900 e rivolse il suo interesse verso la neurologia. Fu sempre attratto dai problemi sociali e, come scrisse nella sua autobiografia, si «rendeva conto che non si poteva trovare nessuna soluzione per nessun problema umano, specialmente quelli sociali, a meno che non fosse basata su una piena conoscenza della natura biologica dell'uomo.... Ero allora illuso che questa potesse essere meglio studiata in neurologia, dove sembrava che si potessero esaminare bene gli impulsi umani e il loro controllo».' Uomo di superiore valore intellettuale, di eccezionale tenacia e di grande fiducia in se stesso, era ben avviato sulla strada di diventare membro del gruppo esclusivo di specialisti londinesi di Hartley Street, quando uno sfortunato incidente lo espose alla falsa accusa di essere delinqutnte sessuale. Sebbene fosse trovato innocente dall'accusa, i sospetti sollevati da questa gli fecero accettare volentieri un'occasione che gli era stata offerta di emigrare in Canada nel 1908.

A quel tempo Jones aveva acquisito una certa conoscenza della psichiatria. L'anno prima aveva frequentato un corso di specializzazione in psichiatria presso la clinica di Kraepelin a Monaco, dove studiò neuropatologia con Alois Alzheimer (1864-1915) e diagnostica clinica con lo stesso Kraepelin. Nel viaggio di ritorno in Inghilterra, si fermò a Zurigo e fece visita a Jung, il primo psicoanalista con il quale si incontrò. Dopo aver accettato il posto che gli era stato offerto a Toronto, tornò nel continente per studiare per altri sei mesi; fece nuovamente visita a Jung a Zurigo e andò a Salisburgo per partecipare al primo congresso psicoanalitico, dove incontrò Freud. Fu enormemente colpito dalle capacità intellettuali di Freud. A questo congresso Jones incontrò altri psicoanalisti e comprese che il suo futuro lavoro sarebbe stato legato alla causa della psicoanalisi.

Per quanto riguarda la produzione letteraria, i quattro anni passati a Toronto furono i più prolifici della sua vita. Egli credeva che questo fosse in dovuto al fatto che la sua vita personale in Canada era infelice. Trovava il clima troppo rigido e l'atmosfera intellettuale provinciale e vittoriana, come l'atmosfera della sua infanzia, monotona e tediosa. Durante questi anni Jones conobbe i principali psichiatri americani e li trovò più ricettivi nei confronti della psicoanalisi di quello che non fossero stati i suoi colleghi inglesi. In Inghilterra la neurologia era in auge e la psichiatria un'appendice quasi inesistente e insignificante della neurologia. In America era vero l'opposto: la neurologia era senza ispirazione e c'erano molti eminenti psichiatri che praticavano la professione, tra i quali Adolph Meyer (1866-1950) e August Hoch (1868-1919) (entrambi originari dalla Svizzera), William A. White, Smith Ely Jelliffe, Morton Prince e James Putnam. A. A. Brill, uno dei membri del primo gruppo che studiarono le idee freudiane al Burg-holzli, era molto rispettato dagli psichiatri accademici. Jones prese parte attiva all'organizzazione dell'American Psychoanalytic Association nel 1911. Nel 1914 ritornò a Londra dal Canada; la guerra impedì la creazione di una associazione inglese, ma dopo la guerra Jones fondò la British Psychoanalytic Society, e rimase il suo presidente e spirito motore per più di vent'anni. Divenne anche il redattore capo dell'Intemational Journal of Psychoanalysis.

Fatta eccezione per la sua biografia di Freud, i migliori contributi di Jones furono brevi saggi, per la maggior parte applicazioni di concetti psicoanalitici alla letteratura, l'arte, l'antropologia e il folklore. Jones era un uomo estremamente erudito, e questi saggi, scritti in prosa raffinata, sono sensibili e penetranti e testimoniano la capacità dei concetti psicoanalitici di approfondire la nostra comprensione dei prodotti più sofisticati della mente umana, e non solo di quelli primitivi. Un saggio, un brillante articolo su The Problem of Paul Morphy : A Contribution to the Psycho-logy of Chess, è un classico studio del ruolo che le motivazioni inconscie possono avere nel destino di un genio. Jones dimostrò che Morphy riusciva a esprimere i propri impulsi aggressivi giocando a scacchi; quando questo sbocco sublimato non gli fu più possibile, Morphy dovette far fronte a questi impulsi inaccettabili mediante una proiezione morbosa, che lo portò a idee paranoidi e a una morte precoce.

Gli scritti di Jones di carattere più tecnico erano dedicati principalmente alle prime fasi pregenitali dello sviluppo della personalità; il suo lavoro in questo settore è secondo solo a quello di Abraham.

Jones morì nel 1958 di trombosi alle coronarie, subito dopo a-ver portato a termine la sua monumentale biografia di Freud in tre volumi.

Sandor Ferenczi

Ferenczi (1873-1933), che fu il più intimo amico di Freud per più di venticinque anni, fu il pensatore più originale fra i primi psicoanalisti. Aveva una personalità pittoresca, appassionata, un fascino irresistibile, e una spontaneità che spesso manca in quegli psichiatri che mantengono un voluto distacco verso i loro pazienti, il che alla fine diventa una seconda natura.

Ciò che maggiormente distingueva Ferenczi dai suoi colleghi era però un interesse vitale per i problemi terapeutici, un'incessante spinta verso la sperimentazione terapeutica che nasceva dalla sua insoddisfazione per le tecniche psicoanalitiche comunemente accettate; e fu questo atteggiamento sperimentale nei confronti della terapia che alla fine provocò l'incrinatura della sua amicizia con Freud. La ragione per cui la tecnica terapeutica era diventata così sacrosanta, che ogni tentativo di modificarla era considerato con sospetto, era collegata col problema di chi avesse il diritto di chiamarsi uno psicoanalista. Il modo in cui l'analista trattava i suoi pazienti - la conservazione dell'incognito personale, l'atteggiamento passivo, e i colloqui giornalieri ininterrotti — lo distinguevano, agli occhi di quei primi psicoanalisti, dai ciarlatani e da quelli che venivano chiamati analisti «selvaggi », cioè professionisti che in realtà erano disinformati sulla psicoanalisi.

Le sperimentazioni e le innovazioni tecniche di Ferenczi erano ben lontane dall'essere irresponsabili, «selvagge», e teoreticamente mal fondate; nel corso degli anni, molti suoi suggerimenti terapeutici si sono rivelati validi.

Tutte le sperimentazioni tecniche di Ferenczi erano basate sulla convinzione intuitiva che i mutamenti nella personalità di un paziente non possono essere provocate dalla interpretazione, cioè | comprendendo il retroterra storico dei sintomi del paziente; Ferenczi cercava invece di intensificare le esperienze emotive del paziente durante il trattamento. Il primo dei suoi tentativi fu quella che egli chiamò «terapia attiva», nella quale il terapeuta assume un ruolo attivo, proibendo o incoraggiando certe attività del paziente. Questa tecnica fu disapprovata dagli analisti classici, che sostenevano che l'analista deve assumere un ruolo completamente passivo. Ferenczi aveva notato che alcuni pazienti scaricavano le tensioni emotive rimosse mediante schemi di comportamento automatici e abitudinari, come movimenti e gesti stereotipi. Nel tentativo di costringere le tensioni scaricate inconsciamente a diventare consce, egli proibiva a questi pazienti di compiere le azioni stereotipe e automatiche che essi abitualmente ripetevano quando erano sotto uno stress emotivo, per esempio, incrociare e disincrociare le gambe. Spesso questa tecnica riusciva a far diventare forzatamente coscienti le tensioni inconscie soggiacenti, che erano state scaricate in modo inconsapevole. Un'altra tecnica attiva usata da Ferenczi era quella di incoraggiare il paziente a compiere delle attività che egli evitava a causa del loro inconscio significato simbolico. Per e-sempio, un paziente che aveva paura di uscire di casa e soffriva di agorafobia era incoraggiato a uscire in strada nonostante la propria angoscia. Questa angoscia, che la fobia tendeva a prevenire, veniva poi analizzata assieme al terapeuta. Se non fosse stato costretto a provare questa angoscia, il paziente si sarebbe potuto accontentare della propria condizione, dato che questa non implicava di per sé una sofferenza. Ferenczi si serviva di «fantasie forzate»: incoraggiava cioè i pazienti a indulgere in fantasie intorno ad argomenti che erano apparsi spontaneamente nelle loro associazioni. La più «attiva» delle sue innovazioni tecniche fu tuttavia quella di fissare una data finale per il trattamento.

Alcune di queste idee, e altre idee sul trattamento psicoanalitico, furono pubblicate in un'importante monografia, Entwicklungsziele der Psychoanalyse [Mete di sviluppo della psicoanalisi], che Ferenczi scrisse nel 1923 con Otto Rank. In seguito Ferenczi ritirò la proposta relativa alla data finale, ma confermò la validità delle altre formulazioni contenute in questa pubblicazione. Fra i suoi contributi più importanti alla teoria del trattamento psicoanalitico c'era l'ipotesi che il risveglio dei ricordi dimenticati non fosse un requisito indispensabile per modificare gli schemi intellettivi ed emotivi nevrotici: rivivere questi schemi disadattati in relazione al terapeuta, il transfert, e riconoscere la loro inadeguatezza, può avere di per sé un effetto terapeutico, anche senza ricordare gli eventi passati che sono all'origine di queste reazioni. Questa idea creò una quantità di polemiche, e dopo aver avanzato questa ipotesi si ritenne che Ferenczi avesse abbandonato uno dei dogmi fondamentali della psicoanalisi.

Nel 1929 Ferenczi introdusse un altro ingegnoso procedimento, il principio del rilassamento e della neocatarsi, che mirava anch'esso a far aumentare l'importanza emotiva del trattamento. Questa tecnica, che egli chiamò dell'«indulgenza», era in un certo senso l'opposto della sua tecnica attiva poiché, invece di aumentare la tensione, cercava di creare un'atmosfera rilassata, distesa, nella quale incoraggiava i pazienti a esprimere liberamente le loro tendenze egodistoniche. Con questi procedimenti tecnici, Ferenczi non intendeva sostituire il «riserbo obiettivo» tipico della psicoanalisi; si rendeva tuttavia conto che, anche all'interno della struttura dell'approccio classico, era sempre presente una «atmosfera psicologica», e che se questa atmosfera è scelta appropriatamente, può essere di grande aiuto per il progresso del trattamento, particolarmente nei casi in cui arriva a un punto morto. In tutti questi tentativi, Ferenczi fu il precursore del cosiddetto «approccio flessibile», che è adattato ai problemi e alla personalità peculiari di ciascun paziente.2

I sistematici esperimenti terapeutici di Ferenczi erano quindi motivati dalla sua convinzione che la psicoanalisi fosse principalmente un'esperienza emotiva, non intellettuale; e che la qualità dell'esperienza fosse il fattore terapeutico essenziale che induce il paziente a modificare i suoi modelli nevrotici di comportamento. Sfortunatamente, la sua insoddisfazione per gli approcci rigidi e la sua propensione a esaminare tutti gli aspetti del trattamento psicoanalitico furono responsabili del fatto che egli terminò la propria carriera psicoanalitica come un altro dissidente. In questo destino c'è una tragica giustizia: Ferenczi divenne una vittima dello stesso controllo sul pensiero psicoanalitico che egli stesso aveva proposto, nel suo entusiasmo giovanile, al momento della fondazione della Società Psicoanalitica Internazionale.

I contributi di Ferenczi alla teoria rivelavano la stessa originalità delle sue idee per quanto riguarda il trattamento. Egli scrisse molti articoli sull'influsso delle motivazioni inconscie sul comportamento quotidiano e sullo sviluppo della personalità; la sua pubblicazione sulle «Fasi dello sviluppo del Senso di Realtà» (1913) è uno dei primi scritti sulla psicologia psicoanalitica dell'Io. In questo articolo, che influenzò molti psicoanalisti, Ferenczi tentava di ricostruire gli stati consecutivi - «periodo di idee e parole magiche come nelle fiabe» - che un individuo attraversa prima di accettare i dati sgraditi del suo esame di realtà; in altre parole, prima di adattare i propri sentimenti e i propri pensieri ai fatti inesorabili della realtà.

La più immaginosa, e allo stesso tempo la più speculativa, delle opere di Ferenczi è un libro, Thalassa, la cui tesi principale è che l'origine della pulsione sessuale sta nella tendenza filogenetica dell'organismo vivente a ristabilire il suo precedente stato di esistenza nell'oceano, la culla di tutta la vita. Ferenczi pensava che lo sviluppo dell'utero o, più precisamente, del liquido amniotico, fosse una ri-creazione dell'oceano perduto, l'ambiente fisico dal quale derivavano tutti gli animali terrestri. La base della teoria di Ferenczi è il fatto che l'amnio e lo sviluppo del feto nel grembo della madre appaiono per la prima volta negli animali terrestri. Ferenczi faceva una distinzione fra adattamento autoplastico e adattamento alloplastico. Come parte del suo sviluppo culturale, l'uomo adatta la realtà ai suoi bisogni basilari; gli animali, d'altra parte, modificano il loro corpo per adattarsi alle condizioni esistenti. Gli uomini accendono fuochi e costruiscono abitazioni per proteggersi dal freddo; gli animali sviluppano pellicce e strati sottocutanei di grasso. Ferenczi chiamava autoplastico il metodo di adattamento degli animali, alloplastico quello dell'uomo. Sebbene Ferenczi, come Freud, immaginasse la filogenesi in termini lamarckiani, queste i-dee si possono spiegare altrettanto bene in termini darwiniani. In Thalassa Ferenczi faceva anche una distinzione fra due tipi di funzioni svolte dagli organi fisiologici: l'utilità e il piacere. Gli atti di piacere scaricano l'energia che non è necessaria per lo scopo utilitaristico della sopravvivenza.

Ferenczi mori di anemia perniciosa nel 1933. Jones insinuò che Ferenczi avesse una psicosi «latente», che influì sulle sue ultime opere. È vero che, poco prima di morire, Ferenczi presentava i sintomi mentali che compaiono caratteristicamente quando le funzioni del sistema nervoso centrale vengono organicamente menomate dagli effetti dell'anemia perniciosa. Però Sandor Lorand ha eccellenti prove per sostenere che Ferenczi non presentò nessun segno di deterioramento mentale, tranne che nelle ultime settimane della sua vita.

16. I DISSIDENTI
Alfred Adler

Nell'autunno del 1902 Freud era pronto a uscire dai suoi anni di forzato isolamento. Invitò Kahane, Reitler, Stekel e Alfred Adler (1870-1937) a unirsi al gruppo di discussione del mercoledì sera, che sarebbe diventato la prima società psicoanalitica. Adler fu invitato perché aveva difeso pubblicamente le idee di Freud.

Adler aveva trentadue anni quando si unì al piccolo e polemico gruppo viennese. Il clima culturale di Vienna gli era perfettamente familiare e non era alieno alla polemica. Nato a Penzing, un sobborgo di Vienna, Adler passò la giovinezza nei dintorni di Vienna e ne frequentò l'Università, dove si laureò in medicina nel 1895. La sua conoscenza della storia della psicologia e della filosofia tedesca, specialmente delle opere di Schopenauer, Kant e Nietzsche, la sua capacità di citare la Bibbia, Shakespeare e i tragici greci, e le sue doti di eloquenza spiegano la sua capacità di porsi al centro dell'attenzione negli abituali caffè viennesi. La sua socievolezza e il suo vivo senso dell'umorismo contribuivano alla sua popolarità.

Adler aveva anche una profonda coscienza sociale. Curando i lavoratori sottoprivilegiati, notò le deplorevoli condizioni in cui essi lavoravano. Fu particolarmente colpito dai gravi problemi sociali dei sarti, e il suo pamphlet e le sue conferenze sulla salute dei sarti commossero l'opinione pubblica tanto che furono promosse delle riforme sociali. Colpito dalla frequenza di disturbi alla vista fra i sarti, Adler rivolse per un breve periodo i propri interessi medici alle malattie degli occhi, prima di dedicarsi alla professione come medico generico. Poi, influenzato dalle lezioni di Richard Krafft-Ebing, il presidente della Società Neurologica Viennese, si dedicò alla neurologia, sperando di combinare i propri interessi sociali e il suo background medico.

Adler aveva esaminato il ruolo svolto dalle malattie fisiche e dalle condizioni sociali nella vita psichica dei suoi pazienti; accolse perciò con favore l'occasione di partecipare al gruppo di studio di Freud, che sembrava offrire qualcosa di nuovo e stimolante al pensiero psicologico.

Nella sua prima pubblicazione importante (1907) dopo essersi unito al gruppo, Adler era ancora principalmente un uomo di medicina. Egli forniva osservazioni mediche empiriche dei difetti organici, pur promettendo che «in futuro ... collegherò» la medicina clinica con la psicologia. Adler riportava storie familiari in cui si presentava ripetutamente la tendenza a un difetto organico. Notò che spesso, quando il difetto riguardava un organo menomato, quest'ultimo presentava una tendenza innata a «compensare» ingrandendosi, in modo da funzionare più efficacemente. Per esempio, un cuore difettoso poteva ingrossarsi e superare in tal modo il suo handicap. Quando si presentava un difetto in uno degli organi che funzionano in coppia - ad esempio, in un occhio - l'occhio sano poteva compensare la deficienza funzionale. È come se l'organismo tentasse di conservare la funzione visiva nonostante il difetto organico. Altrettanto importanti erano le compensazioni psicologiche. Per esempio, un ragazzo era stato colpito accidentalmente a un occhio; sebbene vi fosse una debolezza costituzionale della vista, dovuta a cause ereditarie (quattro parenti stretti del ragazzo avevano la vista debole), egli riuscì a superare l'handicap del trauma e della sua costituzione mediante uno «sforzo psicologico». Le biografie di grandi uomini hanno rivelato come essi superassero degli handicap mediante sforzi coraggiosi. Demostene vinse la balbuzie e divenne un grande oratore e Lord Byron divenne un esperto nuotatore malgrado avesse un piede deforme.

Adler conosceva per esperienza personale il significato di un difetto somatico. A causa del rachitismo non aveva camminato fino all'età di quattro anni. Poco dopo aveva avuto un grave caso di polmonite. Mentre era ancora incerto sulle gambe, era stato coinvolto in diversi incidenti stradali. Eppure, invece di rassegnarsi a vivere da infermo, aveva deciso di diventare un medico. Pur desiderando di raggiungere gli altri ragazzi nell'atletica, passava il tempo a leggere i grandi autori classici. Nei suoi hobbies, seguiva i propri interessi botanici e biologici coltivando fiori e allevando piccioni. A causa del suo difetto, è comprensibile che in seguito Adler diventasse così marcatamente socievole, e anche che il suo lavoro introduttivo alla psicologia cominciasse con lo studio dell'inferiorità degli organi. Nel suo lavoro del 1907 Adler sottolineò che l'incapacità di adattarsi ai difetti organici provocava disturbi emotivi.

Le idee di Adler sull'inferiorità degli organi erano ulteriori elaborazioni del principio omeostatico del grande fisiologo francese Claude Bernard e di W. B. Cannon. A differenza della materia inorganica, gli organismi viventi hanno un mezzo attraverso il quale possono superare i difetti interni. Grazie a questa capacità, le famiglie nelle quali vi sono sistemi organici difettosi non devono necessariamente essere eliminate dalla selezione naturale. In effetti, un obiettivo della lotta umana per la sopravvivenza, compatibile con il darwinismo, è la compensazione dei difetti. Freud considerava il contributo di Adler del 1907 un «lavoro di valore sull'inferiorità degli organi» e sperava che Adler avrebbe infine esteso il suo lavoro alle «basi biologiche delle pulsioni».

Nel 1908 Adler rivolse effettivamente il suo interesse alle pulsioni, ma non come Freud aveva previsto. Nel 1905 Freud aveva avanzato l'ipotesi che la base della nevrosi fosse un conflitto fra le pulsioni dell'Io (le pulsioni di autoconservazione) e le pulsioni sessuali. Adler era alla ricerca di un principio che unificasse i fenomeni psicologici e biologici e allo stesso tempo rientrasse nel quadro di una accettabile teoria delle pulsioni. La pulsione d'aggressione fu introdotta da Adler come un principio pulsionale unitario nel quale le pulsioni primarie, qualunque sia la loro origine, perdono la loro autonomia e si trovano subordinate a quest'unica pulsione. La pulsione d'aggressione era quindi l'Anlage o fonte biologica dell'energia psichica utilizzata quando gli individui superano la loro inferiorità d'organo mediante la compensazione: «l'instabile equilibrio psicologico è sempre ristabilito dal fatto che la pulsione primaria è soddisfatta mediante l'eccitazione e la scarica della pulsione d'aggressione». Se ci fosse una «confluenza di pulsioni» — per esempio, se la pulsione sessuale e quella d'aggressione fossero compresenti - la pulsione d'aggressione sarebbe sempre quella sopraordinata. Nell'articolo del 1908 Adler avanzò l'ipotesi che le pulsioni potessero trasformarsi nel loro opposto, per esempio, l'impulso alla scopofilia potrebbe tramutarsi in comportamento esibizionistico. Inoltre, una pulsione potrebbe rivolgersi contro se stesso. Freud adottò questi due princìpi relativi alle pulsioni, chiamando il primo «formazione reattiva» e il secondo «riflessione» della pulsione «sulla propria persona ». Più tardi, Anna Freud, in L'Io e i meccanismi di difesa, elencò questi meccanismi come le sue difese basilari dell'Io.

A questo punto Adler non si rendeva conto di occuparsi delle funzioni difensive inconscie dell'Io. Né stava tentando, nel suo saggio del 1908, di creare un'altra teoria dualistica delle pulsioni. Stava invece cercando un «principio di motivazione superiore» e basilare. Anche se la pulsione d'aggressione, come era concepita da Adler, era derivata costituzionalmente e biologicamente, Freud non poteva includerla nella sua teoria delle pulsioni. Freud pensava, nel caso del piccolo Hans, che i sentimenti ostili e aggressivi del ragazzo fossero manifestazioni di «tendenze aggressive», il che sembra «una sorprendente conferma delle idee di Adler». Ciononostante Freud pensava che tutte le pulsioni avessero il «potere di diventare aggressive»." A quel tempo non poteva vedere nessuna ragione per includere la pulsione d'aggressione nel suo concetto di dualismo, e nemmeno di darle un posto preminente, come aveva proposto Adler. Nel 1923, in Al di là del principio di piacere, Freud aveva posto la pulsione d'aggressione all'interno della pulsione di morte, che era considerata antagonistica della pulsione di vita. A quel tempo Adler riteneva che la pulsione d'aggressione fosse in realtà una forma di lotta mediante la quale l'individuo si adatta agli ardui compiti della vita. Adler, una volta liberatosi della necessità di ragionare in termini di pulsioni, aveva osservato sarcasticamente di essere lieto di aver regalato a Freud la pulsione d'aggressione. Adler non avrebbe mai chiesto la restituzione di questo dono.

Non fu questo saggio sulla pulsione d'aggressione a segnare l'inizio della rottura con Freud, ma piuttosto il lavoro di Adler negli anni 1910 e 1911. Nel 1910 scrisse per la prima volta sui «sentimenti» d'inferiorità, ponendo così la pietra angolare della sua teoria che il bambino si sente debole e insignificante nei confronti degli adulti. Le tensioni biologiche e l'esito delle lotte pulsionali erano ora relegate in ruoli insignificanti rispetto al modo in cui gli individui reagiscono al senso d'inferiorità. La reazione cruciale era quella della «protesta virile». Nella nostra società, quella maschile è una posizione di forza, quella femminile una posizione di debolezza. Ognuno di noi ha un senso di debolezza (femminilità) e una tendenza virile a superarlo, e da questo punto di vista siamo psicologicamente «ermafroditi».13 Freud aveva avuto un'idea simile una trentina d'anni prima, ma pensava che questa idea non potesse essere confermata.14 Eppure un'altra idea che Freud non ripudiò mai era quella della bisessualità. Quest'ultima, però, radicata istintualmente e da prendersi alla lettera, era dissimile dal concetto adleriano di ermafroditismo, che considerava il sesso metaforicamente.

Adler stava ora proponendo che la sessualità fosse considerata in senso simbolico. Nella nostra cultura, le donne non hanno la tendenza a diventare nevrotiche perché invidiano il pene, ma perché invidiano la preminenza dell'uomo nella cultura contemporanea. Per le donne, il pene simbolizza la posizione preminente dell'uomo nella società. Qualora desiderassero diventare uomini rinunciando alla loro femminilità, soffrirebbero di sintomi nevrotici, come mestruazioni dolorose, rapporti sessuali penosi, o anche omosessualità, i quali sono tutti espressioni delle loro reazioni di protesta virile. Gli uomini che diventano eccessivamente virili non reagiscono con questo all'angoscia di castrazione, ma sovracompensano i loro sentimenti di inadeguatezza come uomini. Adler pensava che i sogni dimostrassero costantemente la reazione di protesta virile.

Verso il 1911 Adler diventò audace nelle sue critiche delle teorie sessuali di Freud. La situazione edipica non doveva essere intesa come l'aspirazione del bambino di godere sessualmente con la madre, ma invece come una battaglia simbolica. Sentendosi debole e senza difese, il bambino usa la sovracompensazione per ottenere superiorità sul padre e dominio sulla madre. (In seguito Adler affermò che «questo cosiddetto complesso di Edipo non è un ' fatto fondamentale ' ma semplicemente un vizioso risultato innaturale d'una eccessiva indulgenza materna».)

Nel 1910 Freud aveva tentato di riconciliarsi con gli adleriani, che si erano risentiti del suo favoritismo nei confronti di Jung. Nominò Adler presidente della Società Psicoanalitica Viennese e nominò Adler e Stekel condirettori dello Zentralblatt für Psychoanalyse.

Queste misure si rivelarono temporanee, poiché stava maturando una rovente polemica. Freud riconobbe che Adler aveva dato «utili contributi alla psicologia dell'Io ». Però la psicoanalisi non aveva ancora pienamente risolto il problema della teoria delle pulsioni e a quel tempo non era teoricamente in grado di occuparsi delle difese dell'Io. Inoltre, Adler non aveva chiarito in che modo la protezione virile differisce dalla rimozione. Invece di porre in evidenza che la protesta virile ha luogo nel processo di rimozione dei tratti femminili, Adler ribaltò l'importanza relativa di questi fattori e considerò la rimozione come «solo una piccola parte degli effetti della protesta virile». Era altrettanto poco chiaro se i sintomi nevrotici si sviluppavano a causa del mancato uso della sovracompensazione o per il fallimento di questo meccanismo. Più ancora, tutti i sintomi nevrotici sembravano avere come scopo quello di dominare qualcuno dell'ambiente. Per i freudiani, questo non era una causa prima dei sintomi, ma coincideva con quelli che essi consideravano come i guadagni secondari d'una malattia. Il sistema adleriano, che metteva da parte la rimozione e sostituiva la causalità con la teleologia, aveva relegato la libido in una terra di nessuno. L'elevazione a pilastro fondamentale di un unico meccanismo dell'Io portò soltanto alla sua condanna come eccessiva semplificazione. Freud non aveva duramente lavorato per più di quindici anni solo per vedere i concetti basilari che aveva più cari messi in disparte in favore di un sistema che egli considerava superficiale. Egli aveva considerato Adler un «notevole ingegno» e sperato che lo avrebbe aiutato a sviluppare la teoria psicoanalitica. Il suo disappunto fu amaro quando si rese conto che il tempo della riconciliazione era passato. Come scrisse egli stesso, «Nella terra di Dio c'è abbastanza spazio, e ognuno ha il pieno diritto di fare le stramberie che vuole senza interferenze; ma non è bene che persone che non si comprendono più fra di loro e non vanno più d'accordo rimangano assieme sotto il medesimo tetto».

Adler respinse l'insistenza di Freud sull'adesione alla dottrina di base. Egli credeva che Freud si comportasse come il tipico figlio maggiore insicuro e minacciato che deve dominare tirannicamente per difendersi dall'essere «detronizzato». Adler non avrebbe mai aderito a precetti che egli considerava provinciali. Da giovane, aveva abbandonato l'ortodossia ebraica dei suoi antenati perché credeva che essa generasse un isolazionismo parrocchiale. Se giudicava costrittivo l'ebraismo, per lui il gruppo di Freud era ancor più restrittivo. Nel 1911 Adler sentiva di non essere più un membro di un gruppo di discussione aperto e, con trentacinque membri della Società Psicoanalitica di Vienna, rassegnò le dimissioni da quell'organizzazione per fondare la Società di Libera Psicoanalisi. Con questa denominazione essi manifestavano il loro disprezzo per le presunte politiche provinciali del circolo freudiano.

Dal punto di vista storico è ingiustificato sostenere che Freud fosse tanto dittatoriale da non tollerare nessuna opinione contraria. Lo stesso Freud, nella sua autobiografia, cita molti uomini intelligenti che diedero il loro contributo alla psicoanalisi, «che hanno lavorato con me per una quindicina d'anni in leale collaborazione e, per la maggior parte, in ininterrotta amicizia». I disaccordi che molti di questi collaboratori ebbero con Freud sono riportati in queste pagine. È altrettanto irragionevole supporre che l'unico scopo di Adler fosse quello di usurpare l'autorità del fratello maggiore. Ciò significherebbe negare completamente il suo intelligente sistema di pensiero e ignorare l'autentica insoddisfazione che Adler e altri nutrivano nei confronti della teoria della libido. È inoltre contrastante con la testimonianza di molti uomini e donne che lavorarono con Adler e lo consideravano tutt'altro che un individuo assetato di potere.

Nel 1912 il gruppo adleriano mutò il proprio nome in quello più appropriato di Società di Psicologia Individuale. Con questa denominazione intendevano esprimere la loro considerazione per l'uomo come entità olistica, unitaria, che non si può suddividere in varie pulsioni. Sbarazzatosi di un orientamento biologico, l'interesse di Adler si volse verso la filosofìa sociale al fine di ridefinire il suo sistema in termini dell'individuo.

Adler fu colpito dagli scritti di Hans Vaihinger (1852-1933), il positivista idealista che, nel 1911, aveva pubblicato La filosofia del 'come se'. Vaihinger sosteneva che c'erano delle «finzioni» sociali che non avevano nessun fondamento nella realtà ma che ciononostante diventavano la base dell'azione sociale. «Tutti gli uomini nascono uguali» è un esempio di affermazione fittizia che è servita come slogan operativo e ha influito sulla vita di innumerevoli persone. In una delle sue opere più importanti, II temperamento nervoso, portato a termine nel 1912 e pubblicato alcuni anni più tardi, Adler definì il concetto di «finalità fittizie». Egli dimostrò che l'uomo illude continuamente se stesso accettando delle finzioni che diventano i suoi fini ultimi. I tratti del carattere dei nevrotici, i loro sintomi, i loro stessi sogni, possono essere interpretati come mezzi attraverso i quali gli individui, compensando il loro senso di sfiducia in sé stessi, aspirano al potere sui loro simili per raggiungere la finalità fittizia della compiutezza. A causa delle precedenti esperienze della vita siamo giunti a sentirci incompleti, imperfetti; non siamo consapevoli che abbiamo costruito un piano di vita (in seguito chiamato «stile di vita»), il cui scopo è quello di perseguire la finalità fittizia della superiorità, spingendoci in posizioni di potere sugli altri. Adler notava che Nietzsche aveva espresso l'opinione che finalità di questo tipo sono perseguite con una «volontà di potenza». Quanto maggiore è il senso d'inferiorità, tanto più forte è il bisogno di dominare gli altri.

Gli adleriani, in concorrenza con i freudiani, e non ancora accettati nei circoli medici, assunsero una posizione difensiva e tendevano a enunciare i loro princìpi in termini enfatici senza affermazioni qualificanti. Nel 1913, preparando le loro basi concettuali, affermarono nella Proposizione 1: «Ogni nevrosi può essere intesa come un tentativo di liberarsi da un senso di inferiorità per procacciarsi un senso di superiorità». Nella Proposizione 12 si affermava: «Tutte le vere aspirazioni e tutte le tendenze del nervoso sottostanno alla dittatura della sua politica di prestigio». L'interesse di Adler per i problemi sociali era evidente in molte proposizioni, e in seguito avrebbe avuto un ruolo ancor più prominente nel suo pensiero.

Sua moglie e i suoi amici socialisti pensavano che la guerra fosse causata da tensioni economiche. Per Adler questa spiegazione non era completa, e non rendeva conto della partecipazione dell'uomo alla guerra come parte della sua ricerca d'un guadagno e-goistico. Adler pensava che l'ideale della pace sarebbe stato accessibile solo quando l'uomo avesse deposto il proprio orientamento egocentrico, che cerca di superare il senso di inferiorità. Anche durante gli orrori della prima guerra mondiale Adler aveva visto notevoli esempi di dedizione disinteressata per i propri simili. Da allora Adler sottolineò l'importanza del Gemeinschaftsgefühl; l'uomo può trovare la sua piena potenzialità come membro produttivo della società solo attraverso la buona volontà, non con la «volontà di potenza».

Nei suoi scritti successivi Adler mise in rilievo che la misura della normalità è riflessa dal grado in cui un individuo riesce a dedicarsi al suo lavoro, amare i suoi simili, e adempiere ai suoi doveri sociali e comunitari. L'individuo «normale» può porre i valori umanitari al di sopra dei propri interessi egoistici perché ha superato le proprie tendenze egocentriche compulsive. La fiducia di Adler nell'uomo normale e nella sua capacità di cooperazione sociale fu riassunta nel suo libro Social Interest, nel quale afferma che «il crescente, irresistibile progresso del sentimento sociale ci consente di assumere che l'esistenza dell'umanità è legata alla 'bontà '». Nello stesso libro Adler riconosce che la psicologia individuale si era trasformata, nel corso degli anni, in una «psicolologia dei valori». Era convinto che i bambini potevano essere aiuti a raggiungere la loro creatività se erano guidati nel modo giusto dai loro insegnanti e dai loro genitori. L'educazione dei bambini è essenziale per la perpetuazione dei valori sociali della comunità. Nel 1919 Adler fondò a Vienna la sua prima clinica psicopedagogica. Negli ultimi anni della sua vita Adler tenne infaticabilmente conferenze per i genitori e gli insegnanti e fu un incessante promotore delle cliniche psicopedagogiche per l'infanzia. Per Adler il ruolo dello psicoterapeuta era altrettanto importante di quello d'un insegnante. Era essenziale che il paziente non avvertisse nessuna diseguaglianza fra se stesso e il terapeuta. Secondo Adler, l'atmosfera che si crea quando il terapeuta si siede dietro al paziente sdraiato sul divano non contribuiva a stabilire una situazione di parità. Adler preferiva lavorare guardando in faccia paziente, impegnandolo in una libera discussione (non in una libera associazione). Le sedute erano meno frequenti e relativamente più brevi che nell'analisi freudiana. Adler credeva che il compito del terapeuta fosse quello di interpretare, ogni qual volta ciò diventa manifesto, il modo in cui il paziente inganna se stesso per quanto riguarda il suo stile di vita. Grazie all'interesse, al calore e all'attività del terapeuta, la sensazione del paziente di essere attaccato o criticato è minimizzata. I sogni erano considerati come prove dell'atteggiamento del paziente nei confronti di qualcosa che esiste nel presente — una «rappresentazione simbolica d'un atto che il paziente deve subito compiere nella vita reale - e indicavano il suo atteggiamento personale nei confronti dell'atto». L'inconscio, sebbene riconosciuto, recede nello sfondo via via che il paziente e il terapeuta discutono il modo in cui le precedenti esperienze della vita hanno portato il paziente a un senso di inadeguatezza e al suo caratteristico piano di vita. Sebbene Adler non ritenesse che un individuo potesse riorientare il proprio stile di vita finché non avesse dimostrato degli interessi sociali, i suoi consigli non si addentravano nei particolari. Lo psicoterapeuta non doveva guidare il paziente in una particolare regione, in un partito politico o in altre attività prescritte. Attraverso l'insight dei propri modelli e una esperienza positiva con il terapeuta, il paziente sarebbe stato rieducato e avrebbe trovato un nuovo e più sano modo di reagire.

L'approccio adleriano è largamente applicato al giorno d'oggi dagli psicologi scolastici, dai terapeuti di gruppo, dai terapeuti dei bambini, e dagli psicoterapeuti che praticano la psicoterapia di appoggio. Psicoanalisti e altri terapeuti garantiscono l'utilità di questa tecnica con alcuni pazienti, ma non sarebbero d'accordo nell'affermare che essa sia universalmente applicabile a tutti i casi di nevrosi e di psicosi.

Questo tentativo di scoprire un'unità nei fenomeni psicologici portò a un sistema che ipersemplifica le proprie dottrine riconoscendo l'esistenza di un solo meccanismo basilare di difesa. Vi sono molti modi in cui gli individui tentano di superare i loro conflitti interni, utilizzando schemi diversi da quelli della sovra-compensazione. Inoltre, un sistema teleologico non risale all'origine di un particolare sintomo nevrotico né spiega il suo significato inconscio. Al contrario, tutti i sintomi sono raggruppati sotto un'unica rubrica onnicomprensiva, il cui scopo è, in questo caso, quello di dominare l'ambiente. Lo schema adleriano considera i motivi sessuali come indici di una lotta per il potere. Questo non spiega i numerosi casi di bambini che provano sensazioni sessuali reali, né la motivazione sessuale osservata tanto frequentemente nel contesto della situazione edipica. La psicologia adleriana, pur riconoscendo l'inconscio, non dà rilievo alla sua influenza. Questo è comprensibile nella misura in cui il fattore che sembra essere al di là della consapevolezza del paziente è in ogni caso il suo senso d'inferiorità.

Nonostante questi difetti, Adler merita un posto della massima importanza nella storia della psicoanalisi e della psicologia perché segnò l'arrivo di importanti tendenze in questi campi. Egli mise in evidenza per primo due princìpi basilari della medicina psicosomatica: che all'interno dell'organismo c'è una basilare vulnerabilità d'organo, e l'importanza dell'immagine corporea dell'individuo rispetto al suo funzionamento difettoso. Nel 1908 Adler sottolineò l'importanza dell'aggressività, che attualmente è considerata come una delle principali caratteristiche umane delle quali i clinici devono occuparsi. Inconsapevolmente, Adler suggerì che l'Io difende se stesso; mise in evidenza un meccanismo - la sovracompensazio-ne - al quale attribuì la massima importanza, e suggerì i meccanismi della formazione reattiva e della riflessione dell'aggressività sulla propria persona. Queste proposte erano in anticipo sulle sistematiche esplorazioni della psicologia dell'Io condotte negli anni 1930 e 1940.

Sebbene gli adleriani non sottolineino l'importanza del transfert e del controtransfert come fanno i freudiani, Adler fu uno dei primi a considerare il rapporto medico-paziente come un'esperienza significativa mediante la quale un individuo può superare molti dei suoi primissimi problemi. Si deve anche aggiungere che attualmente vi sono molti psicoanalisti che ammettono che vi sono numerosi casi in cui il paziente si preoccupa più del significato simbolico della sua inadeguatezza sessuale piuttosto che della minaccia letterale agli organi sessuali. Un vasto gruppo di psicoanalisti concorderebbero con gli adleriani sull'importanza di ridurre il tempo dell'analisi e la frequenza delle sedute.

Infine si deve dare credito ad Adler della diffusa influenza che egli ha avuto su insegnanti, psicopedagoghi ed educatori. Il complesso d'inferiorità, la protesta virile, il valore dell'interesse sociale, sono tutti concetti pratici che hanno aiutato i professionisti nel far fronte ai problemi umani.

Carl Gustav Jung

Nato nel 1875 a Kesswill, un piccolo villaggio svizzero, Cari Gustav Jung era figlio di un pastore della Chiesa riformata che nutriva un grande interesse per gli studi classici e orientali. Il nonno e il bisnonno paterni di Jung erano stati dei medici.

Figlio unico fino all'età di nove anni, Jung era solitario e ritirato. Anche in seguito nella sua vita attribuì grande importanza ai sogni e agli eventi della sua infanzia. Il padre gli insegnò il latino fin dall'età di sei anni, cosicché Jung era molto avanti rispetto ai suoi coetanei quando entrò nel ginnasio a Basilea; qui passava lunghe ore nella biblioteca, assorto nella lettura di vecchi libri. A diciannove anni il giovane biblofilo lesse per la prima volta la frase di Erasmo, «Vocatus atque non vocatus deus aderit» (invocato o non invocato, il dio sarà presente); Jung scrisse queste parole nel suo ex libris e più tardi fece le fece scolpire sull'architrave di pietra sopra la porta della sua casa.

Nel 1895 Jung si iscrisse all'università di Basilea; sebbene i suoi primi interessi fossero rivolti all'antropologia e all'egittologia, scelse di studiare scienze naturali, e poi cambiò per la medicina. Mentre frequentava l'università, cominciò a interessarsi allo studio dello spiritismo e del mesmerismo e partecipò a numerose sedute spiritiche. Poco prima degli esami finali, Jung lesse l'introduzione a un testo di psichiatria scritto da Krafft-Ebing e «comprese improvvisamente la connessione fra psicologia o filosofia e scienza medica». Immediatamente decise di specializzarsi in psichiatria.

Nel 1900 Jung andò al Burghölzli, l'Ospedale per malattie mentali e Clinica psichiatrica universitaria di Zurigo, per studiare con Bleuler. Qui riuscì a raccogliere del materiale clinico che integrava osservazioni fatte in precedenza durante le sedute spiritiche, e presentò questo materiale nel suo primo libro, Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti. Come disse egli stesso, «la scissione della personalità di una medium viene fatta risalire a tendenze presenti durante l'infanzia, e alla radice delle fantasie furono scoperti desideri sessuali di carattere allucinatorio». Jung cita più volte L'interpretazione dei sogni di Freud e Studi sull'isteria di Breuer e Freud. Indicava però anche la direzione che avrebbe preso il suo futuro sviluppo e la sua divergenza dalla posizione di Freud, sia allora che in seguito. Da una parte, Jung considerava la «incipiente sessualità» come «la causa fondamentale di questo strano quadro clinico»; allo stesso tempo, era colpito dalla «teoria della reincarnazione della paziente, secondo la quale ella è la progenitrice ancestrale di miriadi di esseri umani». C'erano anche indizi del suo futuro orientamento teleologico: «È quindi ammissibile che i fenomeni di doppia coscienza siano in effetti la formazione di un nuovo carattere, o siano tentativi di estrinsecazione della futura personalità. ... Talora i fenomeni di sonnambulismo hanno un significato eminenemtente finalistico, in quanto forniscono all'individuo, che altrimenti inevitablimente soccomberebbe, i mezzi per vincere».

In questo stesso primo lavoro Jung accenna al fenomeno dell'associazione verbale, argomento al quale dedicò molte delle sue ricerche durante gli anni immediatamente seguenti. Pubblicò le sue conclusioni in Studi sull'associazione verbale (1906), che reca il sottotitolo «Contributi alla psicologia sperimentale». I primi esperimenti sull'associazionismo verbale erano stati fatti nel 1879 da Francis Galton (1822-1911). Bleuler aveva introdotto lo studio delle associazioni verbali al Burgholzli, utilizzando largamente questa tecnica come strumento di descrizione e classificazione. Jung riconobbe la più ampia portata dell'associazione verbale come mezzo che permetteva di scoprire disturbi caratteristici dovuti a idee dotate di una carica emotiva. Nel testo di associazione verbale elaborato da Jung, al soggetto viene letto un elenco di parole alle quali egli deve rispondere con la prima parola che gli viene in mente. Per esempio, alla parola «madre» potrebbe rispondere «caldo » o «grande». Come elemento di controllo, fra le parole-stimolo sono inserite anche delle parole «neutre», che ci si aspetta non abbiano connotazioni emotive per il paziente. La risposta del paziente alla parola-stimolo viene valutata in base al tempo di risposta, alla natura della parola risposta, e al comportamento del soggetto. Una deviazione significativa dai soggetti normali di controllo in uno o in tutti questi fattori indica la presenza di un contenuto inconscio dotato di una carica affettiva. Per esempio se, udendo la parola «madre», il soggetto «si blocca», cioè non riesce a pensare una parola-risposta, questo indica che la parola contiene un forte effetto. Jung chiamò «complesso» questa combinazione di un'idea con il suo forte affetto.

Poiché al Burghölzli c'erano molti pazienti psicotici, Jung ebbe l'opportunità di applicare i suoi test di associazioni verbali a numerosi soggetti affetti da demenza precoce. A quel tempo la demenza precoce era oggetto di molti studi ed era considerata in vari modi. Come abbiamo notato, Morel, che rappresentava la scuola francese, pensava che chiunque fosse pazzo (demente) fosse affetto da démence precoce. Krapelin diceva che, se queste persone raramente guariscono, il termine adatto sarebbe dementia praecox, la quale implica la prognosi di demenza seguente poco dopo l'insorgere della malattia. Nel 1908 Bleuler affermò che queste persone non sono dementi e possono guarire. Egli riteneva che la loro malattia fosse dovuta a una scissione nel funzionamento psichico, e nel 1911 ribattezzò la malattia «schizofrenia», per indicare questa scissione: dimostrò inoltre che la malattia non porta invariabilmente al deterioramento mentale. Tre anni prima della pubblicazione della classica opera di Bleuler sulla schizofrenia, Jung scriveva: «Il nome [demenza precoce] è veramente infelice, perché la demenza non è sempre precoce, e non sempre si tratta di demenza». Dopo tre anni di ricerche, Jung presentò i suoi risultati in Psicologia della demenza precoce (1906), di cui Jones riconobbe che «fece epoca in campo psichiatrico» e di cui un altro fedele di Freud, A. A. Brill, affermò che, assieme agli studi di Freud, questo libro «costituisce la pietra angolare della moderna psichiatria interpretativa». Nel primo quarto del libro, Jung fornisce una delle più complete rassegne della letteratura teorica sulla demenza precoce fino allora esistente. Egli basò la propria posizione su una sintesi delle idee di molti scienziati precedenti, specialmente Kraepelin, Janet e Bleuler, ma sostenne di essere maggiormente in debito nei confronti delle «geniali concezioni di Freud».

Jung cita due articoli di Freud (1894, 1896) su «Le neuropsicosi da difesa». Nel primo articolo Freud riportava il caso di una ragazza abbandonata dall'amante; il suo Io respingeva l'idea che «egli non è qui» mediante l'allucinazione di udire la sua voce. In queste psicosi allucinatorie, come nell'isteria e nei disordini ossessivi, Freud riteneva che i sintomi risultassero da tentativi di difendersi da idee inaccettabili mediante la rimozione, sicché esse e-rano, in questo senso, neuropsicosi da difesa. Nel secondo articolo Freud utilizzava un caso di paranoia (demenza precoce) per dimostrare che, come nell'isteria e nelle ossessioni, l'esperienza o l'idea emotivamente inaccettabile è parzialmente ammessa alla coscienza nella formazione di compromesso rappresentante il ritorno del rimosso. Jung, concordando con Freud e Bleuler, affermò che un'idea rimossa può essere collegata con un affetto; negli esperimenti di associazione verbale aveva chiamato «complesso» questa combinazione di un'idea rimossa e del suo affetto. Egli definiva un affetto come aveva fatto Bleuler: un sentimento, tono, umore, o e-mozione che è una «forza pulsionale» che cerca un'espressione cosciente. È soltanto la forza dei complessi che premono per arrivare alla coscienza che porta al ritorno del rimosso. Jung era familiare con l'idea di Janet che quando la coscienza è affievolita, come ad esempio nell'ipnosi, i processi inconsci possono emergere alla coscienza. Teoricamente, forti complessi o percezioni consce affievolite possono essere presenti sia nell'isteria che nella demenza precoce; tuttavia, per lo più a causa dell'influsso di Kraepelin, la demenza precoce implicava una prognosi relativamente sfavorevole ed era considerata molto meno reversibile dell'isteria. Conseguentemente Jung scrisse che i risultati «prodotti dal complesso isterogeno sono riparabili», ma gli effetti del complesso della demenza precoce sono «più o meno» irreparabili. Nel successivo articolo (1908) sulla demenza precoce, Il contenuto delle psicosi, Jung era meno convinto che si verificasse sempre una degenerazione cerebrale. Jung e Bleuler esaminarono assieme centinaia di pazienti psicotici e studiarono il materiale autoptico; indubbiamente si influenzarono reciprocamente.

Kraepelin aveva postulato che una lesione cerebrale dovuta a un metabolita sconosciuto, che egli chiamava una autotossina, spiegava il carattere irreversibile della demenza precoce, aveva concluso che questa tossina era la causa fondamentale della malattia. Bleuler credeva anch'egli che una condizione organica - una tossina, un'infezione, o una «proliferazione gliale» - fosse il fattore determinante alla base di questa malattia. In Psicologia della demenza precoce Jung riconosceva che Kraepelin e Bleuler potevano aver ragione, ma suggeriva che la tossina potrebbe essere prodotta da «complessi» psicologici piuttosto che da processi somatici, e indicava inoltre che il complesso isterogeno non libera una tossina. Jung quindi non solo integrò le teorie allora correnti, ma ebbe il merito di essere il primo a proporre un modello psicosomatico per la demenza precoce, nel quale il cervello è considerato come forgano-bersaglio di fattori emotivi. La concezione teorica di Jung può essere così riassunta: il complesso con il suo potente affetto (Bleuler e Jung) produce una tossina (la tossina di Kraepelin è somatica, quella di Jung è una psicotossina) che danneggia il cervello, paralizzando il funzionamento psichico (l'indebolirsi della coscienza di Janet) così che il complesso è liberato dall'inconscio e provoca i sintomi caratteristici della demenza precoce (il ritorno del rimosso di Freud). Sebbene gradualmente abbandonasse l'ipotesi della tossina e adottasse il concetto più moderno di un'alterazione dei processi chimici, Jung non abbandonò mai la sua convinzione nel primato dei fattori psicogeni nella schizofrenia. Ancora nel 1958 egli scriveva che «la psicologia è indispensabile nella spiegazione della natura e delle cause delle emozioni iniziali che provocano le alterazioni metaboliche, [corsivo degli autori]. Sembra che queste emozioni siano accompagnate da processi chimici che causano specifici disturbi o lesioni temporanei o cronici».

Queste ipotesi formulate da Jung nel 1906 ebbero un effetto fondamentale poiché, su questa base, la demenza precoce poteva essere compresa entro una cornice psicoanalitica. Nel 1914 egli andò oltre, affermando che «chi pratica l'analisi conosce casi in cui i pazienti alla soglia della demenza precoce hanno potuto venire ancora riportati alla vita normale». A quel tempo Freud non era altrettanto ottimista e riteneva questi pazienti «inaccessibili all'influenza della psicoanalisi» perché hanno ritirato il loro interesse dalle persone.

In questo libro sulla demenza precoce Jung, un rispettato psichiatra svizzero, attirava una larga attenzione sulle teorie di Freud e deplorava che Freud fosse un «ricercatore a malapena riconosciuto». Poco prima di dare gli ultimi tocchi al suo libro, nell'aprile del 1906 Jung iniziò una corrispondenza con Freud. Alla fine del febbraio del 1907, accompagnato dalla moglie e da Ludwig Binswanger, che allora era medico volontario al Burghölzli, Jung si recò a Vienna per incontrare Freud. Questo primo incontro durò ininterrottamente per tredici ore; come Jung ricordò in seguito, «fu un tour d'horizon». Egli trovò Freud e il suo circolo «impressionanti» e allo stesso tempo «peculiari» di un uomo e del suo background.

Indubbiamente Freud deve non aver veduto l'ora di questo incontro. Era grato al gruppo di Zurigo per gli sforzi fatti per far riconoscere la psicoanalisi. Era impaziente di stabilire la psicoanalisi su una base più ampia di quella che poteva essere fornita dalla sua coterie viennese di intellettuali ebrei. Considerava la Svizzera come il centro dell'attività scientifica internazionale, mentre Vienna era tagliata fuori dai grandi centri della cultura europea occidentale. In una lettera ad Abraham nella primavera del 1908 Freud scriveva: «Solo la sua [di Jung] comparsa sulla scena ha scongiurato il pericolo che la psicoanalisi diventasse un affare nazionale ebraico». Più ancora, oltre alla considerazione che Jung apportava rispettabilità alla psicoanalisi, Freud lo considerava una «mente veramente originale», e vedeva in lui «il Giosuè destinato a esplorare la terra promessa della psichiatria che a Freud, come a Mosè, era stato concesso solo di intravvedere da lontano».

Tenendo presente tutto questo, è forse significativo che Freud non abbia citato questa prima visita di Jung nella Storia del movimento psicoanalitico o nella sua autobiografia. Una possibile spiegazione di questa curiosa omissione è suggerita in quanto riferisce Binswanger:  «Il giorno dopo del nostro arrivo, Freud interrogò Jung e me sui nostri sogni. Non ricordo il sogno di Jung, ma ricordo l'interpretazione che ne diede Freud, e precisamente che Jung desiderava detronizzarlo e prendere il suo posto». Questa paura di essere soppiantato da Jung riapparve in un episodio accaduto mentre erano entrambi a Brema nel 1909. Jung desiderava fare un'escursione per vedere alcuni resti di interesse antropologico, al che Freud diventò molto irritato e saltò alla conclusione che l'interesse di Jung per i morti indicava un desiderio per la morte di Freud.

I sentimenti ambivalenti di Freud facevano da parallelo alla tendenza di Jung a oscillare fra l'entusiastica accettazione delle teorie freudiane e caute riserve. Al primo Congresso di Psichiatria e Neurologia di Amsterdam, Jung lesse una relazione sulla teoria freudiana dell'isteria, che intendeva essere una difesa della psicoanalisi ma risultò essere quasi una scusa per le idee di Freud, o almeno del suo uso di termini come «sessualità infantile» e «libido». In considerazione delle loro successive divergenze, è interessante notare ciò che Jung ebbe a dire in questa occasione sul simbolismo sessuale freudiano: «Vi sono sorprendenti e significative analogie fra il simbolismo freudiano e i simboli della fantasia poetica negli individui e in intere nazioni. Il simbolo freudiano e la sua interpretazione non è quindi nulla di inaudito; è semplicemente qualcosa di insolito per noi psichiatri».

Durante gli anni immediatamente successivi, Jung scrisse un certo numero di articoli che si attenevano esattamente alle linee dell'analisi freudiana classica. Le affermazioni più nette si possono trovare ne L'importanza del padre nel destino dell'individuo (1909). Si può vedere che durante questo periodo Jung portò all'estremo la posizione freudiana, come nel seguente passo, omesso nelle edizioni successive: «Se ora esaminiamo tutte le possibilità di grande portata della costellazione infantile, siamo costretti a dire che sostanzialmente il destino della nostra vita è identico al destino della nostra sessualità» [corsivo degli autori]. Allo stesso tempo, vi sono dei barlumi della successiva idea junghiana delle opposte tendenze: «l'espressione cosciente della costellazione paterna, come tutte le espressioni di un complesso inconscio quando esso appare nella coscienza, acquista il suo volto di Giano, le sue componenti positive e negative».

Non c'è alcun dubbio che Jung abbia dato un notevole contributo al nascente movimento psicoanalitico. Pochi mesi dopo la sua prima visita a Freud, egli fondò la Società Freudiana di Zurigo, e nel 1908 organizzò il primo Congresso Psicoanalitico Internazionale di Salisburgo, dove fu fondato il primo periodico esclusivamente dedicato alla psicoanalisi, lo ]abrbuch fur psychoanalytische und psychopathologische Forschungen, con Bleuler e Freud come direttori e Jung come redattore. Nel 1909 Jung abbandonò il suo posto di primario medico al Burghölzli per dedicarsi interamente alla pratica e alle attività psicoanalitiche. Al Congresso di Norimberga del 1910 fu fondata la Società Psicoanalitica Internazionale e, come abbiamo visto, Jung fu eletto presidente, nonostante le irate proteste del gruppo viennese. Secondo Freud, la scelta di Jung era basata sui suoi «eccezionali talenti, i contributi che egli ha già dato alla psicoanalisi, la sua posizione indipendente e l'impressione di sicura energia che la sua personalità comunicava».

Malgrado la sua posizione prominente nel movimento psicoanalitico, Jung avvertiva un crescente disagio. L'originalità che aveva contrassegnato i suoi primi scritti era assente negli articoli pubblicati durante gli anni in cui si era preoccupato principalmente di difendere le teorie freudiane. Allora, nel 1910, si imbarcò nel progetto di estendere i princìpi psicoanalitici agli argomenti che lo avevano affascinato per anni, e precisamente il materiale raccolto dai miti, dalle leggende, dalle fiabe, dalle storie dei classici e dalle fantasie poetiche. Dopo più di un anno di ricerche, Jung pubblicò i suoi risultati nella prima metà del terzo volume dello Jahrbuch (1911), sotto il titolo Wandlungen und Symbole der Libido, Erster Teil. In Wandlungen I Jung citò un gran numero di fonti al fine di tracciare un «parallelo» fra le fantasie dell'antichità, come sono espresse nei miti e nelle leggende, e l'analogo «modo di pensare che riscontriamo nei fanciulli». Si accingeva inoltre a dimostrare la «connessione fra psicologia del sogno e psicologia del mito». Jung riconosceva che Rank, Franz Riklin (un altro psicoanalista), Abraham e Jones erano giunti a conclusioni analoghe, sia pure sulla base di un numero minore di fonti; Jung fece però un ulteriore passo e giunse alla singolare posizione che la mente «possiede... degli strati storici» contenenti «prodotti mentali arcaici» che diventano manifesti in una psicosi quando c'è una «forte » regressione. Affermò quindi che, dal momento che i simboli usati in tutte le epoche sono simili, essi sono «tipici» e non possono appartenere a un singolo individuo. Questa sequenza di idee contiene il germe del successivo concetto junghiano dell'inconscio collettivo.

Freud era sempre contento quando gli scrittori psicoanalitici scavavano nel materiale mitologico. Fu favorevolmente colpito da Wandlungen I, e pochi mesi dopo la sua comparsa pubblicò un'affermazione concordante con la posizione junghiana che i sogni e le fantasie nevrotiche sono simili non solo al pensare del fanciullo ma anche alla mentalità primitiva così com'era rivelata dalle ricerche etnologiche. Non c'era ancora nessun indizio che Freud ritenesse necessario non essere d'accordo con queste prime formulazioni dell'inconscio arcaico. Solo nel 1913, in Totem e tabù, Freud indicò i punti su cui non era d'accordo con la teoria di Jung; nel capitolo 4 - «Il ritorno del totemismo nei bambini» — egli entra nettamente in disaccordo con Jung e dice che esiste un «parallelo» o una «analogia» fra la psicologia dei primitivi, quella dei bambini e quella dei nevrotici, mentre Jung assume una continuità del materiale arcaico depositato in un inconscio collettivo.

Nella stessa sezione dello Jahrbuch del 1911 in cui apparve Wandlungen I, Freud discusse i meccanismi del delirio paranoide esaminando le memorie di Daniel Paul Schreber, uno psicotico che era stato presidente della Corte d'Appello della Sassonia. Poiché Freud aveva poche occasioni di studiare pazienti psicotici, è probabilmente vero, come affermò Jung, che sia stato quest'ultimo ad attirare l'attenzione di Freud sull'autobiografia di Schreber. Tentando di comprendere la fantasia della «fine del mondo» di Schreber, Freud usò la spiegazione che il suo disordine «interno» era proiettato all'esterno cosicché egli avvertiva che il mondo stava crollando. Schreber, continuava Freud, era incapace di mantenere i suoi legami con il mondo esterno perché aveva ritirato la sua libido dal mondo reale delle cose e delle persone; ma lo stesso Freud non era del tutto soddisfatto di questa spiegazione, perché essa non chiarisce cosa accade alle pulsioni dell'Io. In assenza di una «ben fondata teoria delle pulsioni», egli prese in considerazioni due diverse ipotesi: si deve assumere o che la libido sessuale coincide con l'«interesse in generale», oppure che una perturbazione nella distribuzione della libido sessuale esercita un effetto disruptivo sull'Io. Il pensiero di Freud seguì evidentemente la linea della seconda ipotesi, dal momento che egli affermava successivamente in questo articolo che la libido, dopo il suo distacco dal mondo esterno, regredisce «nell'Io».

In Wandlungen II (1912) Jung citò il passo che suggeriva le due ipotesi alternative e mise in risalto la prima scelta di Freud, cioè l'ipotesi che la libido coincida con l'«interesse in generale».m Jung procedette in questo senso per spogliare la teoria psicoanalitica della libido delle sue connotazioni sessuali. Sostenne così che lo psicotico aveva ritirato dal mondo esterno non tanto i suoi interessi sessuali quanto tutti i suoi interessi in generale. Sebbene avesse difeso per alcuni anni la posizione freudiana sulla sessualità, Jung non aveva mai accettato del tutto le teorie sessuali, e assumendo questa posizione interpretava ora la libido in un senso che Freud non aveva inteso. Freud aveva indicato che la libido non doveva essere intesa nel senso ristretto dell'amore genitale conosciuto dagli adulti. Quando propose per la prima volta (1905) la sua teoria dualistica delle pulsioni (pulsioni dell'Io o pulsioni di autoconservazione contro pulsioni sessuali), il termine «libido» era sinonimo di conseguimento d'una gratificazione piacevole. Il concetto freudiano di libido, per quanto più ampio di quello junghiano, non era così ampio come quello proposto da Jung in Wandlungen II, che eliminava la connotazione sessuale. In Wandlungen II Jung notò anche, correttamente, che Freud, nel suo articolo su Schreber, non aveva fatto una distinzione fra nevrosi e psicosi, e si doveva presumere che il ritiro della libido avesse luogo in entrambe. Nel 1913 Jung affermò inoltre che, se a essere ritirata sull'Io è soltanto la libido sessuale, il risultato non sarebbe la demenza precoce ma la psicologia di un asceta i cui sforzi sono tutti rivolti «a cancellare ogni traccia di interesse sessuale». Dopo queste affermazioni contenute in Wandlungen II, Jung cominciò ad attaccare più pesantemente le teorie sessuali freudiane. Egli sostenne che l'uomo primitivo aveva una libido sessuale che nel corso del tempo venne desessualizzata; l'uomo moderno presenta così il paradosso di una vita mentale non sessuale che continua a presentare immagini di origine sessuale primitiva, che però sono ora spogliate della loro connotazione sessuale. «La sessualità dell'inconscio non è ciò che sembra essere; essa è soltanto un simbolo [...] un passo in avanti verso ogni meta della vita, ma espresso nell'improprio linguaggio sessuale dell'inconscio e del pensiero di uno stadio precedente; una resurrezione [...] di precedenti modi di adattamento».

L'idea di Jung che la libido dovrebbe essere identificata con l'interesse in generale non spiega la psicologia della schizofrenia più di quanto non lo faccia l'élan vital di Bergson o il Wille di Schopenauer, che Jung ammette siano simili al suo concetto di libido. Paragonò anche la libido a un'energia psichica indifferenziata, simile all'energia fisica di Robert Mayer.62 Un'estensione tanto ampia del concetto di libido equivale ad affermare che un individuo diventa psicotico perché non ha interessi normali! Difficilmente si potrebbe sostenere che questa sia una spiegazione psicodinamica.

A Freud occorse più di un anno per rispondere agli argomenti di Jung in Wandlungen II perché, per far fronte a questa sfida, dovette rivedere la sua teoria della libido. Ovviamente non poteva lasciare che il suo concetto di libido fosse completamente abbandonato, poiché lo considerava come l'unica base per comprendere le aberrazioni mentali. Deve però essersi reso conto della pertinenza dell'obiezione di Jung che la teoria della libido non distingueva sufficientemente le nevrosi dalle psicosi. La sua risposta venne nel-Ylntroduzione al narcisismo (1914), in cui Freud afferma che lo psicotico investe l'Io della libido disinvestita dagli oggetti ritornando con ciò a uno stato di autoerotismo infantile (narcisismo); il nevrotico conserva una immagine mentale degli oggetti del mondo esterno e investe questa immagine della libido. Mentre il nevrotico non rescinde le sue «relazioni erotiche con le persone e le cose», lo psicotico perde il suo legame con la realtà regredendo allo stato del narcisismo. Freud confutò inoltre l'argomento di Jung a proposito dell'asceta, facendo notare che può sembrare che l'anacoreta abbia «sradicato» il suo interesse sessuale, mentre in realtà lo ha «sublimato in un intensificato interesse per il divino, per la natura o per il regno animale, senza che la sua libido abbia subito una introversione sulle sue fantasie o un ritorno all'Io».

Questa controversia sulla libido ebbe un'importante incidenza sulla teoria psicoanalitica. Nell'Introduzione al narcisismo Freud sostituì il conflitto fra le pulsioni dell'Io e le pulsioni sessuali con un nuovo dualismo fra libido dell'Io (narcisismo o autoerotismo) e libido oggettuale (amore degli altri). Sulla base di questo nuovo concetto, il problema diventava se le pulsioni sessuali sono dirette verso il soggetto o verso il mondo esterno.

Così lo stesso problema che in un primo tempo aveva unito Freud e Jung, e precisamente il meccanismo psichico alla base della demenza precoce, divenne in seguito la causa di gravi divergenze relative alla teoria della libido, che alla fine portarono alla rottura della loro collaborazione. Rispetto a questo disaccordo di fondo, le altre questioni - la comprensione dei miti, l'interpretazione dei simboli e dei sogni, e così via - erano di secondaria importanza. Inoltre, intrecciate a queste controversie teoriche, c'erano tensioni personali che presagivano la definitiva rottura.

Jung sentiva che numerosi eventi durante il giro di conferenze in America del 1909 riflettevano una freddezza nell'atteggiamento di Freud nei suoi confronti. Durante una sessione di analisi reciproca, per esempio, Freud si rifiutò di fornire associazioni a uno dei suoi sogni, affermando che il farlo gli avrebbe fatto perdere la sua autorità.64 Questa mancanza di franchezza fu considerata da Jung come un segno che Freud aveva perduto la fiducia nei suoi confronti, e anche come il segno di debolezza da parte di Freud. Ad ogni modo, Jung era convinto che, da allora in avanti, il loro rapporto personale cominciava a deteriorarsi. Ci sono poche prove, tuttavia, che a quel tempo i sentimenti di Freud per Jung fossero cambiati. Nei primi mesi del 1911 Freud considerava ancora Jung come il suo «principe ereditario» e sosteneva con fermezza: «Quando l'impero che ho fondato rimarrà orfano, nessun altro se non Jung deve ereditarlo».

Nei mesi successivi, tuttavia, Freud cominciò a irritarsi con Jung perché il tempo che questi dedicava alla ricerca e a un secondo viaggio in America gli sembrava interferire con i doveri della sua carica di presidente della Società Internazionale. Jung, inoltre, era poco sollecito nel rispondere alle lettere di Freud. Altri particolari minori, assieme al fatto che Jung aveva minimizzato la teoria sessuale nelle sue conferenze Fordham, furono i «primi segni» che spinsero Freud a «ritirare la sua libido» da Jung, come scrisse a Binswanger il 9 luglio 1912. La loro corrispondenza diventò subito del tutto impersonale e limitata a questioni d'affari. Nel settembre del 1913 Jung e Freud si incontrarono per l'ultima volta al Congresso Internazionale di Monaco, dove Jung fu rieletto presidente della Società Psicoanalitica Internazionale.

A questo congresso Jung lesse una relazione intitolata «Un contributo allo studio dei tipi psicologici», nella quale cercava di stabilire una correlazione fra «i tipi nosologia» in base alla direzione del flusso libidico. Nella demenza precoce il paziente ha ritirato il proprio interesse generale dal mondo - processo che Jung chiamò «introversione» - e rivela una reazione apatica nei confronti del suo ambiente. L'isterico, al contrario, ha un livello anormalmente intenso di investimento affettivo nel mondo esterno - che Jung chiamò «estroversione» - e presenta un quadro di «emotività esagerata». Queste due direzioni opposte del flusso libidico erano assunte come meccanismi psichici presenti sia nelle persone normali che nei malati di mente; esse appaiono inoltre anche nelle differenze fra le varie scuole di psicoanalisi. Jung considerava l'insistenza di Freud sui «fatti empirici», e l'idea che la libido ricavava piacere dall'ambiente, come un'espressione dell'atteggiamento estroverso di Freud. Adler, d'altra parte, che dava rilievo alle finalità fittizie interne, manifestava le proprie esagerate tendenze introverse. Nella frase finale di questa relazione, Jung parlava dei suoi progetti di elaborare una psicologia analitica equilibrata «che dovrebbe prestare eguale attenzione ai due tipi di mentalità».

Un mese dopo il Congresso di Monaco, Jung si dimise da redattore dello Jahrbuch, e nell'aprile del 1914 da presidente della Società. Nel luglio del 1914, dopo la pubblicazione della Storia del movimento psicoanalitico, in cui Freud dimostrava l'incompatibilità delle sue idee con quelle di Adler e Jung, l'intero gruppo di Zurigo si ritirò dalla Società Internazionale.

Dopo la sua separazione da Freud e dal movimento psicoanalitico, Jung «dovette stabilire i propri valori, formulare un nuovo orientamento, essere se stesso».67 Durante i rimanenti anni della sua vita egli elaborò una imponente produzione letteraria di oltre un centinaio di libri, articoli e recensioni. Viaggiò in lungo e in largo per studiare le culture primitive: gli Indiani Pueblo dell'Arizona e del Nuovo Messico; le tribù negre del monte Elgon dell'Africa Orientale Inglese; il Sudan, l'Egitto e l'India. Lesse relazioni a molti congressi internazionali, e nel 1937 tenne le Terry Lectu-res a Yale, prendendo come argomento il rapporto fra psicologia e religione. Riprese a insegnare nel 1933, tenendo lezioni settimanali ali'Eidgenossische Technische Hochschule di Zurigo. Nel 1944 l'Università di Basilea creò per lui una cattedra di psicologia medica, dalla quale però si dimise poco dopo per ragioni di salute. In occasione del suo sessantesimo compleanno gli fu fatto omaggio di un voluminoso Festschrift, e uno ancora più imponente per il suo ottantesimo compleanno, che fu celebrato da amici e colleghi a Zurigo, Londra, New York e San Francisco. Il più alto onore gli fu però tributato al suo ottantacinquesimo compleanno, quando la cittadina di Kusnacht, dove aveva stabilito la propria dimora per più di cinquant'anni, lo elesse Ehrenbürger (cittadino onorario), una distinzione che si dice Jung abbia apprezzato ancor più di un riconoscimento professionale come quello di essere nominato membro della Royal Society of Medicine di Londra. Fu nominato Doctor of Science ad honorem all'università di Oxford, membro onorario dell'Accademia Svizzera di Medicina, e ricevette laure ad honorem da Harvard, dalle università di Calcutta, Benares, Allahabad ed altre. Nel 1958, tre anni prima della sua morte, ebbe luogo a Zurigo un congresso di psicologi analitici, il primo su scala internazionale, con circa centoventi partecipanti.

Nell'insieme, la psicologia junghiana ha trovato più seguaci fra i filosofi, i poeti e i religiosi che nel campo della psichiatria medica. Gli istituti didattici per la psicologia analitica junghiana, pur richiedendo un programma di studi altrettanto lungo di quello richiesto dagli istituti freudiani, accettano candidati non laureati in medicina. Jung ammise di non aver mai presentato sistematicamente i suoi lavori di psicologia perché, secondo lui, «un sistema dottrinario» scivola «troppo spesso in un certo stile dogmatico». Pur riconoscendo l'importanza dell'approccio causale freudiano, Jung lo considerava riduttivo e pensava che la vita mentale potesse essere meglio compresa da una prospettiva teleologica. La psiche ha un futuro oltre che un passato; lo studio della mente dovrebbe rivelare non solo da dove viene un uomo ma anche la direzione del suo futuro. Jung sosteneva che la concezione causale è limitata e perciò incline al fatalismo; la sua posizione teleologica porge la speranza che l'uomo non debba necessariamente essere la vittima del suo passato.

Secondo la concezione junghiana, il simbolo rappresenta pensieri e sentimenti inconsci che sono in grado di trasformare l'energia psichica - la libido - in valori positivi e costruttivi. I sogni, i miti e le religioni sono i mezzi per far fronte ai conflitti mediante l'appagamento di desiderio, come si rivela nella psicoanalisi; essi contengono inoltre consigli per eventuali soluzioni di dilemmi nevrotici. Per Jung, il tipo di interpretazione dei sogni limitato al rivelare variazioni sul tema edipico - il che, incidentalmente, non è l'unico approccio della psicoanalisi - manca il bersaglio per la sua incapacità di riconoscere l'avvenire creativo dei sogni. Jung stesso fu ripetutamente ispirato da sogni, o indotto da essi a cambiare la direzione della sua vita, quasi come se i sogni avessero poteri oracolari.

Nei suoi ultimi lavori Jung suggerì tecniche psicoterapeutiche che sono suscettibili di una conferma clinica. Il suo metodo di «immaginazione attiva », per esempio, è talvolta usato da terapeuti non junghiani. Il paziente è incoraggiato a disegnare o dipingere qualsiasi immagine si presenti spontaneamente alla sua fantasia. Via via che si verificano trasformazioni dell'immagine, queste saranno notate nei disegni successivi. Il tentativo del paziente di fare in modo che il disegno rappresenti più esattamente l'immagine che egli visualizza può aiutarlo a produrre associazioni alle sue fantasie preconsce o consce. Jung riteneva che questa tecnica giovi al paziente non solo consentendogli di parlare della sua fantasia, ma anche agendo realmente su di lui.

Jung ammetteva che le tecniche psicoterapeutiche freudiane e a-dleriane possano essere efficaci con persone giovani che hanno dei problemi sessuali o che hanno bisogno di esprimere la loro aggressività, ma sottolineava che il suo metodo era più adatto per i pazienti più anziani che lottano con problemi esistenziali. L'individuo che ha passato la mezza età e che, sebbene non sia nevrotico, manca di uno scopo, può volgersi per guida e conforto alla religione, alla filosofia dello Zen o dello Yoga, o alla psicologia di Jung. Un individuo può cercare la tranquillità dove preferisce. Questo approccio non è però efficace quando la mancanza di uno scopo è il risultato di gravi conflitti irrisolti.

Vi sono altre tecniche - non limitate alla sola scuola junghiana, ma utilizzate da tutti gli psicoterapeuti coscienziosi - le quali esplorano le potenzialità dell'individuo, cercano di aiutare il paziente a raggiungere l'«autorealizzazione», e valutano gli schemi nevrotici prendendo in considerazione le situazioni quotidiane di stress. Vi sono certi altri fenomeni riconosciuti egualmente dagli psicoanalisti e dai seguaci di Jung; per esempio, il rapporto di compensazione fra i processi coscienti e quelli inconsci è stato riprodotto sperimentalmente da K. W. Bash, usando il test di Ror-schach, con pazienti sia allo stato di veglia che in quello di sonno.69 Si può pensare che un paziente, che nella vita reale è esposto a una sconfitta e sogna di comportarsi come un eroe, stia compensando sentimenti di umiliazione connessi a precedenti, analoghe esperienze da lui vissute; il suo sogno non si riferisce necessariamente a una figura archetipica.

L'ossatura teorica della psicologia junghiana non può essere verificata con nessun mezzo clinico a nostra disposizione. I numerosi test psicologici ideati per determinare l'introversione o l'estroversione dei tipi psicologici indicano «che ambedue gli atteggiamenti sono virtualmente presenti, in misura diversa, in tutti gli individui», fatto di cui Jung non era inconsapevole. L'etichettare gli individui secondo il loro tipo di atteggiamento non aiuta a comprendere le cause di tali differenze nella struttura della personalità; conseguentemente, questo schema non rappresenta nessun perfezionamento rispetto alle classificazioni descrittive elaborate durante il XIX secolo.

Il concetto di inconscio collettivo è altrettanto speculativo. Jung divideva la psiche inconscia nell'inconscio personale (analogo all'inconscio freudiano più il preconscio) e l'inconscio collettivo, che è «il possente deposito di esperienze ancestrali accumulate durante milioni di anni, l'eco di avvenimenti preistorici al quale ogni secolo aggiunge qualcosa». L'inconscio collettivo contiene «immagini primordiali» o «archetipi» che rappresentano forme di pensare che si sono sviluppate nel corso dei secoli. Il fatto che persone vissute in epoche diverse abbiano usato simboli simili non prova tuttavia che un particolare simbolo sia stato ereditato da antenati ancestrali. L'uomo si distingue dagli altri animali per essere una creatura simbolizzante, e i suoi impulsi e desideri basilari non sono molto cambiati attraverso i secoli. Né vi è un numero infinito di simboli mediante i quali gli uomini possano rappresentare questi impulsi. In ogni caso, è impossibile far risalire gli archetipi alla loro origine. Come lo stesso Jung ha scherzosamente osservato, egli «non era presente quando furono creati i primi archetipi».

Jung adottò gli stessi termini che Freud usava in psicoanalisi, ma diede loro un diverso significato. Questo non fece altro che confondere inutilmente le cose. Per esempio, sarebbe stato meglio se Jung avesse inventato un altro termine per il suo concetto di «libido»; lo stesso vale per l'uso che egli fece in seguito del termine «introversione». Quando Jung introdusse questo termine nel 1910 lo usò per significare il ritiro della libido sessuale dal mondo esterno. Questo uso fu ripreso da Freud; ma, dopo il 1911, Jung giunse infine a usare questa parola per descrivere un particolare tipo psicologico, piuttosto che un processo patologico. Un utile termine, coniato da Jung, che è sopravvissuto ed è tuttora impiegato da entrambe le scuole è «complesso».

Sebbene Jung avesse una volta criticato Freud di non prestare sufficiente attenzione alla reale situazione di conflitto in cui si trova il paziente, questo problema venne offuscato quando egli elaborò la sua teoria antitetica della struttura della mente. L'Io - il vago «io» cosciente - è opposto all'inconscio personale; la Persona — la maschera di un individuo che è vista dal mondo - è opposta all'Animus (la parte maschile della donna) o all'Anima (l'aspetto femminile dell'uomo) e anche all'inconscio personale e all'inconscio collettivo; l'Io è opposto all'Ombra, cioè il lato animale della personalità. Il «Sé» ha il compito di unificare la personalità totale. Questo compito diventa estremamente difficile se i lati coscienti della personalità sono esagerati senza l'integrazione degli aspetti inconsci. La psicoterapia - cioè la «psicologia analitica» junghiana - cerca di portare questo «gioco degli opposti» a u-na integrazione armoniosa valutando gli opposti polari che risiedono nell'inconscio, sia collettivo che personale, e nella coscienza. Come il terapeuta possa distinguere fra le molteplici antitesi e valutare la loro importanza relativa diventa tuttavia una questione opinabile; ed è inoltre quasi impossibile scoprire un conflitto nucleare e fondamentale in questo sconcertante labirinto di interessi contrastanti. Sfortunatamente Jung non chiarisce nessuno di questi problemi, poiché, come dice una fonte autorevole, «gran parte dei lavori successivi di Jung ... è tanto misteriosa che è quasi impossibile sottoporla a un vaglio critico».

Per riassumere, durante il primo decennio del secolo Jung diede numerosi contributi importanti alla psicoanalisi. I suoi esperimenti con le associazioni verbali confermarono l'ipotesi freudiana della rimozione, e Jung a sua volta applicò le idee di Freud alla demenza precoce e, ponendo in evidenza la connessione fra gli aspetti fisiologici e psicologici di questa malattia, riuscì a costruire il primo modello psicosomatico della schizofrenia. Jung contribuì anche a portare l'opera di Freud all'attenzione del mondo scientifico, e in seguito ebbe una parte importante nell'organizzare il movimento psicoanalitico. Secondo Jung, fu lui a suggerire a Freud che tutti gli psicoanalisti dovrebbero sottoporsi a un'analisi didattica. L'applicazione da parte di Jung della teoria psicoanalitica alla comprensione dei miti e del loro rapporto con i sogni e le nevrosi riaccese l'interesse di Freud per l'antropologia e fu quindi, in definitiva, uno dei fattori che spinsero Freud a scrivere Totem e tabù. Il più essenziale contributo di Jung fu tuttavia quello di far notare che Freud non era riuscito a fare una distinzione fra fenomeni nevrotici e psicotici nel «caso Schreber». Freud, posto di fronte alla necessità di risolvere questo problema, fu spronato a rivedere la sua teoria della libido. La nuova comprensione da parte di Freud del narcisismo indicò la natura non libidica di una parte delle pulsioni dell'Io e aprì la strada alla sua concezione dualistica finale della pulsione di vita contro la pulsione di morte. Così alla fine Freud ampliò a modo suo il concetto di libido combinandolo con la pulsione di vita.

Si può dire, perciò, che le idee di Jung e di Freud furono stimolate dal lavoro dell'altro; tuttavia, per quanto riguarda l'evoluzione di Jung, le teorie di Freud ebbero il loro effetto principale negli anni prima che essi si incontrassero personalmente. Nonostante l'attrazione per la psicoanalisi e la sua temporanea difesa dei suoi princìpi fondamentali, Jung non deviò mai dal misticismo implicito persino nei suoi primissimi lavori, nei quali sono evidenti i semi dell'inconscio collettivo. E, dopo il 1913, le sue elaborazioni delle teorie che ora caratterizzano il pensiero junghiano rivelano poco o nulla dell'influenza di Freud.

Otto Rank

Dopo l'apostasia di Jung, il ruolo di erede spettò apparentemente a un meditativo, sensibile intellettuale viennese, Otto Rank (1884-1939), che Freud incontrò per la prima volta quando Rank era iscritto a un istituto tecnico e si manteneva lavorando in un negozio di macchine. Freud apprezzava la vastità del sapere di Rank e previde che un giorno avrebbe potuto estendere la teoria psicoanalitica nel campo culturale. Freud aveva sostenuto moralmente e finanziariamente Rank quando questi stava portando a termine i suoi studi all'Università di Vienna.

Rank aveva molto sofferto durante la sua adolescenza. Aveva i reumatismi; era profondamente solitario; era staccato dalla madre, emotivamente distante, ed era marcatamente ostile verso il padre alcolizzato, al quale lui e il fratello non parlavano. Il diario che egli tenne durante gli anni della gioventù contiene molti passi che sottolineano la disperata depressione che assaliva il suo animo tormentato. «Cresco abbandonato a me stesso, senza amici, senza libri, per la maggior parte delle persone non provo nessuna simpatia. Non voglio essere sepolto, ma cremato. Come lapide vorrei un blocco grezzo di pietra ... Mi trovo sempre in uno stato di sogno e il tipo di realtà al quale sono costretto mi ferisce... Oggi ho comprato un'arma per uccidermi. In seguito è cresciuto in me il più acuto desiderio di vita e il più grande coraggio verso la morte». Rank tentò di far fronte a questi sentimenti di solitudine e di vuoto sviluppando il suo potenziale creativo. Aveva in sé un bruciante desiderio di lasciare ai posteri qualche creazione di valore. Questi temi - l'isolamento, la creatività, la ricerca dell'immortalità - vennero in primo piano nel suo lavoro dopo la sua defezione da Freud.

Il trattato di Rank sugli artisti, Der Kunstler, fu influenzato dalle idee freudiane e colpì Freud in misura tale che nel 1906 invitò Rank a entrare a far parte della Società Psicoanalitica di Vienna. Nel 1907 Rank pubblicò Der Kunstler, in cui metteva in evidenza il proprio debito nei confronti di Freud, che aveva letto il manoscritto prima della pubblicazione: «Secondo un'idea di Freud, l'artista riesce a ristabilire, in un peculiare modo indiretto, il rapporto originariamente piacevole con il mondo esterno che l'umanità ha perduto nel raggiungere la civiltà». Il successivo lavoro di Rank fu il Mito della nascita degli eroi, in cui esaminò la ragione per cui nei miti di diverse culture i grandi eroi sono concepiti senza macchia e nascono dall'oceano. Rank applicò questa idea attraverso i concetti psicoanalitici dei meccanismi simbolici e onirici. Un esempio di simbolismo è la storia di Mosè, un eroe mitologico che emerge da un cesto (il simbolo del grembo materno) che galleggia sull'acqua (cioè, la nascita). Meccanismi onirici appaiono, per esempio, in quei miti nei quali il vero padre dell'eroe costringe il bambino, che è il bersaglio della sua gelosia, a lasciare la famiglia. Questo è un'inversione e una proiezione dell'ostilità del figlio nei confronti del padre, un meccanismo comune nei sogni. Jones riconobbe le speciali doti di Rank per «interpretare i sogni, i miti, le leggende» e provava rispetto per la sua «enorme erudizione». Jones scrive che era rimasto molto lusingato quando Rank aveva elogiato uno dei suoi saggi: «stupire l'onniscente Rank voleva dire molto».

La società psicoanalitica che stava allargandosi, come gruppo, fu colpita dal lavoro di Rank durante i due decenni successivi, particolarmente dai suoi contributi alla comprensione psicoanalitica dell'arte, della letteratura e dei miti. Questi contributi divennero particolarmente importanti dopo la defezione di Jung e di altri esperti in mitologia. Inoltre, gli sforzi amministrativi e organizzativi di Rank all'interno del movimento erano molto apprezzati: egli fungeva non solo da segretario personale di Freud, ma anche da segretario della Società Psicoanalitica di Vienna; Rank condiresse la rivista Imago con Hanns Sachs dal 1912 al 1924, e anche l'lnternationale Zeitschrift für Psychoanalyse; e fu non solo il fondatore, ma anche il direttore dell'Istituto Psicoanalitico di Vienna dal 1919 al 1924.

Col passare del tempo, però, Rank divenne sempre meno soddisfatto delle proprie funzioni nel movimento e giunse a considerarle come incarichi e obblighi piuttosto che espressioni della sua originalità. Poi, nel 1923, scrisse con Ferenczi Entwicklungsziele der Psychoanalyse, che fu tradotto in inglese nel 1925. Sebbene Ferenczi e Rank proclamassero di «non differire in alcun modo da Freud», in questo libro essi rivedevano la tecnica psicoanalitica classica e, come abbiamo notato, avanzavano delle proposte per rivedere il metodo analitico. Ferenczi e Rank consigliavano che il trattamento sarebbe stato abbreviato se nell'ultima fase dell'analisi l'analista avesse fissato una data finale al fine di neutralizzare la «fissazione del paziente sul terapeuta». Ma il loro più importante suggerimento era che nell'analisi si dovesse porre l'accento sulle esperienze emotive piuttosto che sulle ricostruzioni intellettuali. «Lo scopo ultimo della psicoanalisi è di sostituire, per mezzo della tecnica, i fattori affettivi dell'esperienza ai processi intellettivi». Queste proposte influenzarono altri psicoanalisti, ma Freud, in una lettera a Ferenczi, disse che questi suggerimenti avrebbero portato a un «abuso della tecnica psicoanalitica». La coterie di Freud non fu sensibile a queste proposte radicali e il libro fu attaccato da molti analisti, senza molto effetto su Rank, perché questo breve saggio segnò l'inizio del suo completo revisionismo.

Nel lavoro successivo, II trauma della nascita (1924), Rank costruì un sistema psicologico sull'affermazione di Freud che la reazione fisiologica dell'infante al momento della nascita (per esempio, accelerazione del ritmo cardiaco e respiratorio) ha luogo a causa della opprimente stimolazione sensoriale e che queste reazioni rimangono il prototipo della successiva angoscia. L'individuo, diceva ora Rank, è all'eterna ricerca del ritorno alla beatitudine della vita intrauterina. Uno sviluppo sano si ha quando, attraverso le successive esperienze di separazione dalla madre (per esempio, lo svezzamento), il bambino diventa capace di scaricare l'angoscia primaria, che è stata sottoposta a una «rimozione primaria». Gli stati patologici derivano dalla paura del grembo materno e dal desiderio di ritornare in esso. (Non è chiaro, secondo Rank, perché alcuni bambini non sono capaci di abreagire sufficientemente ed elaborare [durcharbeiten] l'esperienza terrificante del trauma della nascita). Il bambino non rifiuta di riconoscere l'esistenza dei genitali femminili perché ciò lo costringe a riconoscere che alcune persone non hanno il pene (l'angoscia di castrazione di Freud), ma perché il grembo femminile rappresenta il luogo della sua prima or-rificante esperienza. L'omosessuale è tanto atterrito dai genitali femminili che non è capace di provarne piacere. Lo stesso atto sessuale ha lo scopo primario di reintrodurre il maschio nel grembo femminile, e ha luogo non a causa di pulsioni libidiche ma come una soluzione di compromesso per rientrare nel corpo femminile: una parte del corpo - il pene - ritorna. Queste formulazioni, basate sulla supposizione non provata che tracce mnestiche siano presenti nel cervello sottosviluppato, culminavano in una reinterpretazione del complesso edipico: il bambino cerca di superare il trauma della nascita tentando di liberarsi della paura dei genitali della madre desiderando dì penetrarvi. Questo tentativo fallisce perché il bambino non è fisicamente in grado di rientrare nella madre, e perché l'angoscia della nascita - non un senso di colpa — impedisce uno sforzo continuato in questa direzione. Il problema, nella vita come nella psicoterapia, è di sciogliere alla fine questo orrore della separazione dalla madre o dai sostituti materni.

Inizialmente, Freud disse che Il trauma della nascita costituiva il «più importante avanzamento dalla scoperta della psicoanalisi». Il Comitato reagì però sfavorevolmente a queste deviazioni dalla teoria classica e infine indusse Freud a rimproverare Rank di ridurre tutta la psicoanalisi a un unico tema, che per di più trascurava completamente l'influenza del padre sul bambino.84 Freud alla fine concluse che l'eliminazione del padre dalla teoria da parte di Rank era dovuta ai suoi problemi personali. Dapprima Rank reagì alle critiche sfavorevoli con una grande agitazione. A quel tempo (1924) trovava impossibile lasciare il suo mentore e tenne delle consultazioni analitiche con Freud, dopo di che scrisse una lettera di ritrattazione al Comitato freudiano (20 dicembre 1924): «... le mie reazioni affettive nei confronti del Professore e nei vostri confronti, in quanto per me rappresentate i fratelli accanto a lui, derivavano da conflitti inconsci. ...Da uno stato che ora riconosco come nevrotico sono improvvisamente ritornato in me stesso. ...Da colloqui analitici con il Professore, nei quali sono riuscito a spiegare nei particolari le reazioni basate su atteggiamenti affettivi, ho raggiunto la speranza di essere riuscito a chiarire prima di tutto il rapporto personale, dato che il Professore ha trovato soddisfacenti le mie spiegazioni e mi ha personalmente perdonato. ...Sarò in grado di vedere le cose più obiettivamente dopo la rimozione della mia resistenza affettiva».

Alla fine però, nel 1929, Rank riuscì a distaccarsi dall'influenza di Freud: cessò di scusarsi e non scrisse più nel linguaggio freudiano. Verso quest'epoca si rese anche conto dell'inutilità di trarre delle analogie dalla fisiologia alla psicologia e attribuì importanza non tanto al trauma della nascita quanto a quei periodi della vita di un individuo in cui questi cerca di distaccarsi dall'influenza dei genitori e acquista così una propria personalità. Altre idee espresse da Rank in queste opere successive includevano i concetti di volontà e contro-volontà. Rank affermò che «Freud concepisce l'individuo come dominato dalla vita pulsionale [l'Es] e represso dal Super-io, come un giocattolo privo di volontà manovrato da due forze impersonali. Al contrario, io intendo per «volontà» un'organizzazione e integrazione di sé che utilizza creativamente, oltre che inibire e controllare, i moti pulsionali». La volontà è quella parte della personalità che lotta contro le forze opposte che tentano di inibire lo sviluppo della separazione. Essa si sviluppa inizialmente con la contro-volontà, la quale è diretta contro le restrizioni dei genitori, e continua finché si realizza la singolarità della personalità, momento in cui l'individuo ha raggiunto l'indipendenza e diventa veramente «creativo». L'uomo medio si conforma alla volontà degli altri, mentre il nevrotico o si ribella senza un preciso obiettivo, isolandosi così dalla corrente principale della vita, oppure diventa eccessivamente conformista. Rank conosceva per esperienza personale cosa significa conformarsi a causa di un senso di colpa; e riteneva che il ruolo del terapeuta sia quello di aiutare il nevrotico, attraverso il transfert, a raggiungere lo stato di individuazione creativa. Nella terapia il paziente è aiutato ad accettare la propria volontà senza sentirsi in colpa per il fatto di opporsi alla volontà degli altri, e ad imparare con questo ad avere una maggiore capacità di sopportare l'isolamento. «L'ultimo passo della psicoterapia è infine la liberazione del Sé creativo, nella fase finale in cui il terapeuta deve essere abbandonato come punto di appoggio ».

Gli ultimi lavori di Rank, La psicologia dell'anima (1931) e L'arte e l'artista (1932), offrono una visione prospettica della civiltà e un'interpretazione del significato della religione e dell'arte; questi due libri vanno al di là dello schema della psicoanalisi individuale, come anche un libro pubblicato postumo, AL di là della psicologia (1941), in cui la storia è divisa in quattro ere in base al modo in cui l'uomo ha cercato di raggiungere l'immortalità.

Gli scritti di Rank sono stilisticamente difficili e presentano pochi casi clinici per convalidare la sua speculazione teorica. Rank, come Adler, ridusse tutta la psicologia a un sistema monolitico e ipersemplificato; allo stesso tempo, molti suoi suggerimenti si sono dimostrati preziosi per la psichiatria, particolarmente l'idea che il bambino deve accettare la propria esistenza individuale come essere separato dalla madre.

Tutti e tre gli uomini di cui si è parlato in questo capitolo - Adler, Jung e Rank - si sentirono impacciati dai loro legami freudiani, e lottarono per liberare il loro potenziale creativo. In questo processo si staccarono inevitabilmente dalla leadership di Freud. Ognuno d'essi contribuì alla psicoanalisi e ognuno trovò la propria nicchia. Adler trovò il suo «stile di vita», Jung la sua «anima», e Rank la sua «auto-espressione creativa»; ma si deve onestamente far notare che le loro successive speculazioni filosofiche si allontanarono dalla rigorosa aderenza alla sistematica osservazione scientifica, al punto da viziare in gran parte qualsiasi incidenza che essi possono aver avuto sul pensiero psichiatrico. Secondo la nostra opinione, Freud, al contrario, anche nei suoi ultimi scritti filosofici, raramente si scostò da un orientamento scientifico.